Parole per sperare

Da Barcellona all’Africa il percorso delle guerre e la ricerca della pace

Fortezza

Il futuro e il presente dell’Europa non sarà nel costruire fortezze, ma nell’abbattere i muri della paura che alcuni per calcolo politico ogni giorno edificano, mentre i terroristi sono protagonisti del muro del terrore. Non solo a Barcellona ma anche in Africa, a Ouagadougou, con 18 uccisi. Quattro in più, secondo il macabro calcolo delle vittime. Si legge il 19 agosto sulla prima pagina de La Repubblica: «Nell’attentato di Barcellona sono morte 14 persone di 35 nazionalità ed ecco il modello globale che vogliono distruggere». Cittadini in Africa come in Europa. Ecco il modello dialogico dell’incontro e della solidarietàà. Non riguarda solo l’Europa ma l’Europa e l’Africa. Insieme su questo dobbiamo costruire.

 

Paura

“Non ho paura”. Questo è il grido delle Ramblas, dei giovani spagnoli: un appello rivolto al Paese, ma anche all’Europa, all’Africa, al Medio Oriente e al Mediterraneo. Il terrorismo islamico africano nasce come effetto della guerra di Libia, promossa dai francesi, dagli inglesi con l’avallo degli americani e con l’approvazione degli italiani. Così il fiume del terrore dalla Libia è sceso nell’Africa sub-sahariana. La risposta non sta nel muro ma in una visione di mondialità.

 

Barcellona ramblas

Ecco, il terrore e il terrorismo domandano una conversione culturale dell’Europa. A Barcellona non c’è stata la retorica dell’Europa, come abbiamo visto in situazioni analoghe in altri momenti. I giovani delle Ramblas domandano più Europa a partire da un coordinamento delle agenzie per la sicurezza. Non è un gesto di debolezza ma di fortezza civile e politica il grido “non ho paura”, non indicano un gesto di debolezza e di disorientamento, ma di coscienza civile che rivela la maestà della legge che custodisce la forza della vita comune.

 

Il coraggio

Il coraggio è il grande tesoro quando il terrore sembra sopravanzare tutto e tutti. L’Italia e la Spagna in particolari passaggi della loro storia hanno tratto fonte per vivere nella forza della legge che ha permesso di andare oltre i loro limiti e le loro risorse. Tutti abbiamo imparato che bisognava dare la vita per rendere credibile il loro coraggio, fatto di giustizia e verità. Non si tratta di blindare le nostre società. Chi si chiude, chi si difende è già morto. Il coraggio dei giovani rinvia a una politica di coraggio che non si divide e si unisce a una politica che domanda una grande visione euromediterranea ed europea. Non bastano più soluzioni mediocri ma coraggiose e di alto profilo.

 

Africa e lotta al terrore

L’Africa è unita dalle vittime e le vittime del Burkina si legano, costruiscono una nuova unità euroafricana, che non nasce dalla guerra di Libia che ha seminato il terrorismo, con l’illusione che la guerra possa servire a qualcosa. Forse il terrorismo ha bisogno di un’Africa fragile per sedurla con armi, terrore e violenza. Non si aiuta l’Africa con la guerra ma con lo sviluppo e con la politica, con le istituzioni. Non un solo Paese ma l’intera Europa deve sostenere l’Africa che ha bisogno di migliorare le condizioni dell’intera zona del Sahel. Una politica coerente sul piano internazionale. Combattere il terrorismo significa sviluppare l’intera Africa. Certo, con una visione coerente dell’Africa, una classe dirigente euroafricana capace di profezia e di visione, generosa con mezzi a disposizione, una politica non di breve periodo ma profonda nel tempo.

 

I giovani radicalizzati 

Così il prof. Roy definisce i giovani del terrore: si tratta di ragazzi occidentalizzati e deculturalizzati che riscoprono la religione, non quella tradizionale dei loro genitori, ma reinventata attraverso il salafismo. Il terrorismo sarebbe un problema se fosse il sintomo di una rivolta generalizzata, ma non è così, non esprime il reale sentimento della maggioranza dei musulmani. Ecco la sfida culturale. Ecco la sfida del conoscere, non dell’odiare, dell’ascolto e non della paura.

 

Pace e Vangelo

La violenza e il terrore e le loro armi violente sono l’antivangelo e l’antimessia. La Bibbia pone il “Non uccidere” e la guerra e il terrore vivono della distruzione degli innocenti. La vittima Gesù si rende visibile nelle vittime innocenti prodotte dalla violenza della storia. Gesù chiede il perdono e noi cerchiamo la vendetta. Noi vendichiamo e compriamo armi per fare attentati e guerre e Gesù ci ricorda che chi prende la spada di spada perirà. Per secoli abbiamo giustificato la teologia della guerra e abbiamo contraddetto Dio e la sua parola. I cristiani sono i figli della pace, sono coloro che fanno la pace dando la vita per i nemici. Gesù chiama beati coloro che fanno la pace con il sangue della Croce, figli a misura del figlio. Dalla pace il perdono. Gesu è la pace e il perdono che consegna alla storia dall’alto della croce. Gesù ci chiama alla conversione, la grande parola! Che rovescia la storia e apre all’economia del perdono, ecco il vero realismo del Vangelo. Non si esce dalla storia, ma si cambia la storia.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons