Papa Francesco: Basta morti in Terra Santa. È terrorismo

Il papa ha ricevuto, ieri, in Vaticano, la delegazione dei parenti degli ostaggi israeliani e quella dei parenti dei palestinesi di Gaza. In un video, Francesco ha lanciato un nuovo appello per la pace. Ma come si vive a Gaza? Gli abitanti, scrive Sami El-Yousef, amministratore delegato del Patriarcato latino di Gerusalemme, soffrono la fame e sono a rischio epidemie.
Gaza semidistrutta dopo i bombardamenti, foto Ap

«È pesante quello che sta accadendo in Terra Santa. È molto pesante. Il popolo palestinese, il popolo di Israele, hanno il diritto alla pace, hanno il diritto di vivere in pace: due popoli fratelli». Papa Francesco è tornato a parlare di pace in Terra Santa, unica voce che non ha mai smesso di chiedere il cessate il fuoco. E lo ha fatto in spagnolo, con un videomessaggio diffuso attraverso la Rete mondiale di preghiera del papa.

«Tutti noi – ha affermato Bergoglio – sentiamo il dolore delle guerre. Sapete che dalla fine della Seconda guerra mondiale le guerre hanno imperversato in varie parti del mondo. Quando sono lontane, forse non le sentiamo con forza. Ce ne sono due molto vicine che ci fanno reagire: Ucraina e Terra Santa… Preghiamo per la pace in Terra Santa. Preghiamo perché le controversie vengano risolte con il dialogo e i negoziati e non con una montagna di morti da entrambe le parti».

Mercoledì 22 novembre, prima dell’udienza generale, il papa ha incontrato per mezz’ora la delegazione dei parenti degli ostaggi israeliani e quella dei palestinesi che hanno dei parenti sotto le bombe a Gaza. «Loro soffrono tanto e ho sentito come soffrono ambedue: le guerre fanno questo, ma qui siamo andati oltre le guerre, questo non è guerreggiare, questo è terrorismo. Per favore – ha detto Francesco in piazza san Pietro – andiamo avanti per la pace, pregate tanto per la pace. Che il Signore ci aiuti a risolvere i problemi e a non andare avanti con le passioni che alla fine uccidono tutti. Preghiamo per il popolo palestinese, preghiamo per il popolo israeliano, perché venga la pace».

Dopo l’incontro, la delegazione israeliana – formata dai rappresentanti di alcune famiglie degli ostaggi rapiti dai terroristi di Hamas – è apparsa divisa. Da un lato c’è chi si è sentito accolto e ascoltato e dall’altro chi avrebbe desiderato che Francesco non avesse usato la parola terrorismo anche per gli attacchi israeliani su Gaza.

La delegazione palestinese era formata da cristiani e musulmani ed era accompagnata dal parroco della chiesa della Sacra Famiglia di Gaza, padre Gabriel Romanelli, e da un sacerdote della Chiesa greco-ortodossa. Shrine Halil, cristiana di Betlemme, ha raccontato ai giornalisti di aver chiesto al papa di mettere fine al genocidio dei palestinesi e di andare a Gaza.

Un mese e mezzo dopo l’attacco terroristico di Hamas dell’8 ottobre, che era costato la vita a oltre 1.400 israeliani, i morti degli attacchi missilistici israeliani su Gaza, secondo i dati delle Nazioni Unite, sono oltre 11mila, quasi 28mila i feriti, di cui il 70% donne e bambini. Il 70% della popolazione (1,6 milioni su 2,3 complessivi) è andato via. In città mancano acqua, cibo, elettricità, carburante e medicine. Morti anche 102 operatori umanitari dell’Onu, 200 operatori sanitari e 51 giornalisti.

Ma come si vive nei territori palestinesi bombardati da Israele? Lo descrive Sami El-Yousef, amministratore delegato del Patriarcato latino di Gerusalemme. Gli abitanti di Gaza, ha scritto, «sono sull’orlo della fame, della disidratazione e di epidemie date le migliaia di corpi in decomposizione sotto le macerie». Curare l’igiene è impossibile, «con 700 persone che condividono una doccia e 500 persone che condividono un bagno! Le storie personali raccapriccianti sono tante e mettono in discussione la responsabilità umanitaria di tutti nel mondo, specialmente durante i tempi di guerra».

Per quanto riguarda la parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza, continua El-Yousef, «ci sono circa 600 persone che hanno trovato rifugio nel complesso della chiesa» ed è una grande responsabilità per provvedere ai loro bisogni quotidiani in tempo di guerra e in un momento in cui nessuna nuova fornitura arriva al Nord. «L’esercito israeliano ha chiesto loro di evacuare verso sud, ma i fedeli hanno deciso di rimanere nel complesso della chiesa dato l’orrore delle storie che sentono dalle persone che sono partite prima di loro».

Uno sviluppo triste per la comunità cristiana, aggiunge El-Yousef, è stato la distruzione di un edificio nel complesso della vicina chiesa ortodossa greca, dove sono state uccise 17 persone. «In totale abbiamo perso finora 21 persone, e questo rappresenta oltre il 2% della popolazione cristiana. Tutte le famiglie cristiane sono state colpite in un modo o nell’altro data l’esigua dimensione della comunità. Oltre 50 famiglie hanno avuto le loro case completamente distrutte, per non parlare dei danni alle varie istituzioni cristiane tra cui la scuola delle suore del Rosario, l’ospedale anglicano Ahli e il Centro culturale ortodosso. Incredibile sofferenza della nostra piccola comunità, e non abbiamo ancora visto il peggio di questa brutta guerra».

Una delle storie più tristi, commenta l’amministratore delegato del Patriarcato latino di Gerusalemme, «è quella dell’organista ottantenne in pensione ed ex insegnante di musica che aveva trovato rifugio nella Chiesa e che aveva deciso di andare a controllare la sua casa e portare alcuni vestiti. Le hanno sparato ad una gamba appena fuori casa sua. Date le condizioni di sicurezza, nessuno poteva raggiungerla per portarla in ospedale e lei è morta dissanguata. È rimasta in strada per tre giorni finché il suo corpo non è stato raccolto e sepolto in una fossa comune con i riti finali eseguiti come musulmana!».

Insomma, la situazione è davvero al limite e purtroppo l’annunciata tregua tra Israele e Hamas è stata rimandata, si spera, a domani.

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