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Paolo Scirpa: passando per la “porta stretta”

di Marta Michelacci

- Fonte: Città Nuova

Le principali tappe della storia artistica di Paolo Scirpa, tra cui l’incontro con Chiara Lubich, che ha impresso la prospettiva dell’infinito a tutto il suo lavoro. Da Città Nuova n. 1/2025

Entrare nello studio di Paolo Scirpa è come oltrepassare una soglia; è un attraversamento che richiede un totale capovolgimento di vedute. I ludoscopi sono voragini di luce e assorbono totalmente l’osservatore: ci si sente risucchiare in un abisso misterioso e sacro al contempo. Si tratta di macchine ottiche frutto di una ricerca condivisa con altri artisti degli anni ’60 e ’70. Sulla traiettoria dello Spazialismo di Lucio Fontana, l’artista ha sperimentato l’illusione ottica attraverso strutture al neon che simulano prospettive all’infinito.

Ripescare le radici della sua storia diventa imprescindibile per comprendere l’uomo e l’artista, per ricucire la trama di eventi, di incontri, che hanno sostanziato un’instancabile forza creativa, che si mantiene inalterata tutt’oggi. Di seguito si sono volute evidenziare solo alcune delle principali tappe della sua storia artistica. Nato nel 1934 a Siracusa, frequenta la locale Scuola d’Arte ma anche le officine grafiche di Salisburgo alla Kunstlerhaus e l’Internationale Sommerakademie für Bildende Kunst diretta da Oskar Kokoschka. Negli anni ’60 lavorerà anche a Parigi nello studio di Johnny Friedlaender. Nel 1968 arriva a Milano come titolare della cattedra di pittura all’Accademia di Brera e in questo contesto inizierà, negli anni a seguire, la collaborazione con Luciano Fabro. Incontrerà poi anche Pierre Restany e i suoi interessi andranno quindi dal Nouveau Réalisme alla Pop Art. La sperimentazione continua è uno dei tratti caratteristici del suo lavoro.

Se si va alla scoperta di che cosa sia quella “luce ideale” che alcuni critici hanno evidenziato, scopriamo in un testo poetico dell’artista, Sole (Siracusa, luglio 1966), alcune suggestioni: «[…] mi pare di aver intuito un centro vitale al quale tutte le forze misteriosamente convergono in unità e da cui divergono succedendosi, messaggere del processo evolutivo, del senso umano e universale»1. Negli anni ’50-’60, Scirpa aveva conosciuto Chiara Lubich e l’impatto con il suo carisma aveva segnato profondamente la sua vita. Alcuni passaggi di uno scritto degli stessi anni della, allor giovane, trentina sembrano associarsi perfettamente allo scritto dell’artista appena citato: «[…] È come il cammino lungo il raggio del sole. È sempre sole ma aumenta in intensità quanto più s’avvicina al sole. Così l’anima dell’unità: vive facendo penetrare sempre più la propria anima in Dio; s’avvicina sempre più al Dio che vive nel suo cuore e sempre più s’avvicina al Dio che vive nel cuore dei fratelli»2.

Questa consonanza di espressioni non è casuale: Scirpa aveva incontrato personalmente Chiara Lubich a Fiera di Primiero e si alimentava dei suoi scritti. Frequenti fra i due gli scambi epistolari che giustificano i continui riferimenti a quella sostanza spirituale che trova nelle sue opere piena traduzione. Di Paolo Scirpa è anche il mosaico absidale della piccola cappella del Centro del Movimento dei Focolari a Rocca di Papa dove si trova la tomba di Chiara Lubich. È lo stesso artista a parlare di esigenza interiore che alimenterà costantemente il suo lavoro e che trova eco nel suo carattere aperto, gioioso, ma schivo al contempo.

In un altro scritto Scirpa conferma la coerenza insita nel suo lavoro: «[…] Ho sempre coniugato la ricerca artistica con l’esigenza di esprimere il cammino interiore-spirituale che andavo facendo: dalle mie prime esperienze fino all’attuale fase di riflessione, corrispondono altrettante tappe esistenziali

(1) Meneguzzo (a cura di), Paolo Scirpa, Siena 2010, p. 73. Si rimanda alla monografia di Meneguzzo per tutte le informazioni di carattere bibliografico e biografico.

(2) M. Vandeleene (a cura di) Chiara Lubich, La dottrina spirituale, Milano 2001, p. 79.

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