Il Sud Est asiatico e in particolare la Thailandia (ma anche Indonesia e Sri Lanka) sono forse una delle regioni in questo momento al centro della scena mondiale, con alluvioni, tensioni, guerre, devastazioni e quant’altro.
In Thailandia basta pensare alla scam city (agglomerato urbano destinato alle frodi online), nella provincia di Tak: parlo di Shwe Kokko New City, una città casinò in Myanmar al confine con la Thailandia, dirimpetto alla città thailandese di Mae Sot. Da lì migliaia di persone sono fuggite dai centri scam (dove persone di molti Paesi ingannate con offerte di lavoro vengono trattenute con la forza e costrette a eseguire truffe online su scala globale) e si sono riversate in Thailandia, in cerca di una possibilità di rimpatrio. Oppure, sempre lungo il confine ovest della Thailandia, c’è chi fugge dalla guerra tra il popolo Karen e l’esercito del regime militare birmano; e nel sud della Thailandia c’è anche l’alluvione nella città di Had Yai, con 7 metri di acqua che hanno invaso alcuni quartieri; per non parlare della ripresa della guerra fra Thailandia e Cambogia, con 500 mila evacuati.
Insomma, emergenze che richiedono un grande impegno verso i più poveri, verso i senza tetto, casa e patria, gli “scarti” della società, coloro che hanno perduto ogni cosa ed aspettano, letteralmente e senza alternative, aiuto concreto. Oltre ad alcuni aiuti governativi internazionali, molte Organizzazioni non governative (Ong) europee, come francesci, italiane, inglesi ed anche locali, hanno lavorato molto negli ultimi mesi del 2025 in Thailandia e negli altri Paesi della regione, e il 2026 si preannuncia come un anno davvero impegnativo. Già ora le inondazioni monsoniche hanno provocato ingenti danni e fuga di persone anche in Malesia, Indonesia, Sri Lanka.
Sono centinaia le Ong che operano in Thailandia come anche nella capitale Bangkok (a favore dei senzatetto) e sui confini con Myanmar e Cambogia. Una cosa è principalmente richiesta a queste organizzazioni, oltre alla trasparente provenienza dei fondi impiegati: una veloce distribuzione degli aiuti, del sostegno per i più disperati; soprattutto, è necessario avere persone sul campo, o come dicono gli statunitensi, avere “boots on the ground”, stivali a terra. Negli ultimi mesi, nel sud est asiatico le organizzazioni che più si sono distinte purtroppo non sono state quelle italiane, invischiate in procedure burocratiche, con tempi decisionali lunghissimi che forse andavano bene 20 anni fa. Purtroppo e peccato, ma è così. Gli svizzeri sono stati invece molto veloci e efficienti, come anche gli inglesi e i francesi: si sono distinti per una grande mobilità e velocità di azione. Perchè l’importante è riuscire ad arrivare al più presto accanto a chi soffre e sta morendo: è quello l’obiettivo. E questo richiede un grande cuore e una grande intelligenza organizzativa, unite alla volontà di arrivare “alla bocca” della gente, come si ama dire da queste parti.
Evviva allora, chi fa sul serio ed è anche veloce nel farlo!