Oltre le lacrime della Serracchiani

La presidente della Regione Friuli Venezia Giulia piange durante una seduta pubblica a Trieste e sui social imperversa l'attacco. Un senso di sgomento e di paura che assale chi fa informazione. Domande aperte  
La presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani durante il suo intervento nell'aula del Consiglio regionale in occasione della replica agli interventi dei capigruppo sulla manovra di bilancio regionale, Trieste, 14 Dicembre 2016. ANSA/UFFICIO STAMPA/ REGIONE FRIULI VENEZIA E GIULIA +++ NO SALES EDITORIAL USE ONLY ++

È cominciata nella sala del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia, ed è finita sul web diventando una sorta di tormentone del mercoledì pomeriggio. Debora Serracchiani – la “zarina”, quella che in quasi quattro anni di legislatura ha sempre tirato dritto senza badare a niente e a nessuno, quella che «più che a Trieste sta a Roma» in virtù della sua vicinanza a Matteo Renzi e della sua posizione di vicesegretario Pd – è scoppiata in lacrime.

 

Ma facciamo un passo indietro. A Trieste è in corso la seduta del Consiglio Regionale in cui si discute la legge di bilancio. L’Agenzia Regione Cronache, come di consueto, trasmette il video dell’intervento della presidente. Fin dall’inizio si capisce che qualcosa non va: è tesa, ha la voce rotta. Ad un certo punto abbandona il discorso, toglie gli occhiali, e afferma tra le lacrime: «Permettetemi una considerazione amara. Non so se è perché sono donna o perché non sono nata qui, però io credo di aver sopportato più di ogni altra persona in questa sede degli attacchi che sono stati tutti esclusivamente personali. Li ho sopportati, poi ci sono dei momenti in cui si fa fatica, faccio fatica anch’io e mi dispiaccio perché questa non è la faccia delle istituzioni, però non ditemi che non ho dedicato a questa regione tutta me stessa. Perché per questa regione ho rinunciato alle cose più care che avevo». Poi abbassa il microfono con uno scatto ed esce dall’aula, mentre gli altri assessori abbassano il capo, quasi a non voler essere indiscreti nel momento in cui la lady di ferro crolla.

 

E fin qui, niente di straordinario: a chiunque è capitato nella vita di scoppiare – in urla o in lacrime-, di andarsene sbattendo la porta. Solo che lei non è “chiunque”: è la presidente del Fvg e vicesegretaria del Pd. Che non solo si è recentemente dovuta confrontare con pesanti sconfitte alle urne – sia a livello locale con le amministrative, che nazionale con il referendum -; ma che, non essendosi mai preoccupata di piacere a nessuno, in questi anni è diventata bersaglio non solo delle critiche di chi non condivide il suo operato, ma anche capro espiatorio del disagio generalizzato.

 

 

E così, praticamente in tempo reale, il video rimbalza sui social network corredato di commenti a dir poco malevoli: “Lacrime di coccodrillo”, “Chissà quante persone ha fatto piangere lei”, “Frignona”, “Torna nel pollaio a Roma che al Friuli ci pensiamo noi”, “Tu piangi, io godo”; fino ad offese pesanti e francamente irripetibili – e che in quanto tali non ripeteremo. Non è la prima volta che sul web si innesca una spirale del genere; ma questa volta ha assunto proporzioni tali da spingere il direttore de Il Messaggero Veneto, Omar Monestier, a prendere una decisa posizione contro questa deriva nel suo editoriale del mattino dopo. «Pochi secondi accolti da un’ordalia di maldicenze social sessiste, ove l’odio si mescola al compiacimento. Ho provato sgomento e ne ho avuto paura – scrive -. Davvero siamo questi? Ci basta una lacrima per sentirci trionfanti sulle vite altrui?».

 

Da giornalista, non ho potuto non sentirmi interpellata. Perché in un mondo in cui l’intermediazione del professionista è totalmente saltata, il ruolo di quest’ultimo non può più essere quello di dare la notizia; né solo quello di vagliarla e analizzarla, dando gli strumenti al lettore per farlo a sua volta. Il compito dei professionisti dell’informazione è anche dire basta quando si è passato il segno, quando le dita prudono sulla tastiera dalla voglia di rispondere per le rime. Una cosa è non condividere l’operato di un politico o di chicchessia, altro è darsi agli insulti e alla critica distruttiva fine a sé stessa. Forse anni di titoli gridati e articoli sopra le righe ci si stanno ritorcendo contro, secondo il principio per cui “chi semina vento raccoglie tempesta”? Forse. Ma se così è, siamo chiamati a spenderci in prima persona per placarla. Ricordandoci magari – sia nel mettere mano a un articolo, che nel postare un commento o un link sulla nostra pagina Facebook – che “un bel tacer non fu mai scritto”.

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