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Non lasciarsi togliere la serenità

a cura di Redazione

Un lettore ci racconta come, in seguito ad una situazione spiacevole generatasi da alcune mail inviate al lavoro, sia riuscito a non lasciare che questa difficoltà fermasse il suo desiderio costante di agire ogni giorno per fare del mondo un luogo migliore

Perosna al computer (foto Pexles – Corronbro)

Lavoro da decenni in un’azienda di servizi del nord Italia con oltre un centinaio di dipendenti. Nel corso degli anni ho avuto modo di stabilire tante e belle relazioni non solo di carattere professionale, ma anche più profondo con diversi colleghi, solo semplicemente con un po’ di attenzione e con gesti di vicinanza ed empatia.

Un mese fa il capo del personale mi ha convocato a porte chiuse comunicandomi che è giunta voce al direttore generale che io, nei momenti di pausa, senza precisare dove, forse nei corridoi o alla macchina del caffè, avrei parlato con qualcuno tirando fuori l’argomento della religione. Secondo le convinzioni del direttore, nell’ambiente di lavoro bisogna solo trattare di argomenti leggeri e frivoli, magari parlare di calcio, di auto, di donne, ma non bisogna ‘far calare l’aria’ con temi pesanti come la religione, no: questo non va bene.

Per me è stato un vero e proprio shock, in quanto riavvolgendo il nastro dei miei comportamenti, non sono riuscito ad individuare un momento o un’occasione particolare in cui avrei trasceso a parlare in maniera impropria e fuori contesto di cose spirituali.

Chi mi conosce davvero sa bene che non sono il tipo di persona che fa proselitismo o si infervora in maniera esagitata o fuori proposito, anzi, è solo quando nei rapporti personali trovo nell’interlocutore la giusta sensibilità che posso aprirmi nel profondo e dire qualcosa di me, dei miei valori e delle scelte di vita, e dell’Ideale dell’unità che mi muove e guida le azioni quotidiane.

Dentro di me hanno risuonato le parole del Vangelo, quando Gesù nel discorso sulla montagna cita: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia: rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Ho comunicato al capo del personale che per me questa reazione rappresentava una vera e propria medaglia d’onore, ed ho riaperto la porta dell’ufficio in un turbine di emozioni di chi, ferito e colpito a tradimento, si sente sconcertato ma anche nel giusto, perché sa di essere coerente con i suoi principi morali e di non avere nulla da recriminarsi.

A casa ho comunicato a mia moglie tutta la vicenda, mentre nasceva in me l’idea di ritornare dal capo del personale e lamentare quella che considero una vera e propria ingerenza ed una limitazione alla libertà di espressione da parte di chi ha il potere e l’influenza per imporsi in virtù della sua posizione. E poi, chi stabilisce in una discussione privata quale argomento sia da considerarsi leggero e opportuno e che possa essere utilizzato, oppure no?

La sera ho pensato a cosa poteva aver scatenato tutto ciò. In particolare è nato un forte giudizio verso il collega che si era permesso di rivolgersi al direttore mettendomi in cattiva luce presso di lui procurandomi un danno morale, piuttosto che risolverla apertamente solo con me; ed ho criticato anche lo stesso comportamento del direttore, che avrebbe potuto e dovuto consigliare al collega di sbrigarsela in altro modo e non lasciarsi influenzare, anziché agire tramite le vie gerarchiche per riprendermi, pur se in maniera informale e non ufficiale.

Mi è venuto in mente che, oramai da qualche mese, avevo preso l’abitudine di concludere una mail giornaliera indirizzata solo a certi uffici con una frase benaugurante e positiva di tanti personaggi illustri, uomini di chiesa, pensatori, scienziati o persone dello spettacolo, che poteva suscitare in chi le leggeva un piccolo spunto di riflessione, di speranza e di ispirazione. Forse era stata proprio quella la causa scatenante del tutto!

Ho telefonato al responsabile dell’ufficio destinatario di queste mail (una persona credente con cui ho un bel dialogo personale) raccontando tutta la cosa. Lui è rimasto completamente basito ed incredulo («Ma stai scherzando, vero?»), e nel contempo gli è venuto in mente che negli ultimi giorni si era aggiunta ai destinatari una persona nuova, che può vantare di avere un canale preferenziale con la direzione, e forse anche di una certa influenza.

Secondo l’interlocutore non sarebbe servito a nulla nemmeno se io, per risolvere l’equivoco generatosi, fossi andato a confrontarmi direttamente e pacatamente con questa persona (ammesso che fosse stata proprio lei a lamentarsi), perché avrebbe negato completamente ogni addebito ed ogni coinvolgimento: non ne sarebbe valsa la pena. Tantomeno esporre il mio punto di vista e le mie ragioni al direttore. Io lo conosco abbastanza bene, e con me ha sempre dimostrato, oltre alla professionalità, gentilezza, acume ed intelligenza.

Pertanto, per una questione di prudenza, onde non dare adito a nessuno di accusarmi ingiustamente, a malincuore ho preso la decisione di togliere quella frase di buon auspicio alla fine delle mail (assolutamente innocua ma non per tutti), poiché poteva essere letta e travisata come voler veicolare un mio pensiero personale attraverso un mezzo ufficiale esclusivamente lavorativo.

In me, passato un momento di reazione umana negativa, ho potuto scoprire che, nonostante l’impulso suscitato dall’orgoglio ferito, non avevo sentimenti di rancore verso questa persona: anzi, mi sarei comportato con lei, come per tutte le altre, esattamente come prima.

Non voglio permettere che il pensiero negativo lasci strascichi o getti ombre che possano togliermi la serenità e il desiderio costante di agire ogni giorno per fare del posto di lavoro un luogo migliore: questo è il mio unico obiettivo.

(P.G.)

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