No al quartiere a luci rosse

La proposta del sindaco De Magistris di creare un quartiere in cui esercitare la prostituzione non piace ai napoletani: sono altre le necessità della città
luigi de magistris

Dopo ferragosto, quando l’estate volge al termine, le spiagge cominciano lentamente a svuotarsi, anche se il caldo colpisce ancora, le pagine dei giornali parlano solo di incendi e di spread, ecco che arriva il sindaco di Napoli, l’ex magistrato Luigi De Magistris a fornire un nuovo scottante argomento per riempire le ore vuote dei pochi vacanzieri e dei tanti che soffrono nelle città assediate dal caldo. Confesso che la prima volta che l’ho letta, pensavo che fosse una bufala estiva, inventata da qualche giornalista buontempone per rallegrare l’aria resa pesante dai roghi tossici. Poi, purtroppo, ho capito che si trattava di una vera proposta del primo cittadino partenopeo: «Creare una zona in cui la prostituzione sia esercitata e tenuta sotto il controllo sanitario e delle forze dell’ordine, sul modello di Amsterdam». Creando, nel contempo, una zona, tipo drive in, per il “libero amore”, dove le coppiette possano appartarsi in intimità senza temere rapine, stupri e altro ancora.

Dopo lo sbigottimento iniziale, ne ho parlato con alcuni vicini di ombrellone che abitano proprio a Napoli, tra cui alcuni poliziotti, in servizio nel centro della città. La reazione è stata unanime: «Con tutti i problemi che ci sono a Napoli, ci si mette a pensare proprio a questo! Certamente questo tipo di soluzione non risolve i problemi».

Il 25 agosto, la festa liturgica di santa Patrizia, co-patrona di Napoli, ha dato all’arcivescovo partenopeo, il cardinale Crescenzio Sepe, l’occasione per rispondere “ufficialmente” al sindaco e dire la sua, invitando a proseguire piuttosto nelle iniziative, come quelle del compianto don Oreste Benzi, che aiutano le donne costrette a prostituirsi ad uscire dalla schiavitù di chi le sfrutta. Le case che servono non sono quelle a luci rosse, ma le case di recupero sociale per sostenere le famiglie, i minori, gli anziani, gli ammalati e i disabili.
 
A questo punto il dibattito si è animato e da ogni dove sono arrivati pareri. La maggior parte delle persone si è detta contraria all’iniziativa, soprattutto perché non risponde ai veri bisogni di Napoli. Qualcuno, però, ha mostrato di apprezzarla, se, e solo se, si riuscirà a fare rispettare le regole. Cosa che a Napoli, dalle cinture di sicurezza ai semafori rossi, è, come si sa, davvero arduo!

Qualcuno saggiamente ha letto la proposta di De Magistris come il classico sasso tirato nello stagno per vedere l’effetto che fa ed ha voluto vedervi del buono nella misura in cui dimostra la volontà reale di affrontare il problema, sperando che il dibattito mediatico che ne è scaturito porti a interventi concreti con il contributo di tutti. Senza dimenticare che la via maestra per combattere il fenomeno della prostituzione è quella dell’aiuto e del supporto alle ragazze sfruttate e spesso schiavizzate dalla malavita. La realizzazione di quartieri a luci rosse non risolverebbe il problema, anzi darebbe una veste legale allo strapotere della camorra.

In quest’occasione c’è, poi, da registrare purtroppo la reazione negativa del sindaco che, invece di rispondere a tono al cardinale, difendendo con argomentazioni serie la propria proposta, ha preferito rivangare vecchie accuse contro il porporato, dimostrando così di sentirsi punto sul vivo.

Ecco l’opinione di Diana Pezza Borrelli, impegnata da anni in vari percorsi di cittadinanza attiva: «Sono anzitutto contenta che si parli di un problema che diventa sempre più evidente. Ci sono, per sommi capi, due tipi di prostituzione e non vanno confuse le difficoltà dell’uno con l’altro». C’è la prostituzione, come c’è sempre stata, di chi “decide” di guadagnare con facilità sfruttando il proprio corpo e le debolezze altrui e, in generale, viene esercitata in alcune case private o luoghi a pagamento, e su questa si può difficilmente entrare a gamba tesa per regolamentare la situazione.

«Altra cosa – aggiunge Pezza Borrelli – sono invece le tante vittime di camorristi e altri “imprenditori” del sesso, che comprano e vendono come schiave/vi giovani e meno giovani vite buttandole per strada, ricattandole, tenendole letteralmente in schiavitù. In questo caso, secondo me, è giusto che se ne parli, Chiesa compresa (ricordiamo la pubblicità dell’8xMille che presentava anche delle suore che cercano di salvare dalla strada giovani prostitute, in Paesi “altri” come Sudamerica e Asia)».
Sarebbe necessario che comune e Chiesa si incontrassero con associazioni che già lavorano nel settore e, di concerto con l’Ufficio immigrazione (di solito, la maggior parte di chi viene costretto a prostituirsi è formata da clandestini), si ipotizzino strade condivise.

«Altra cosa ancora – continua Pezza Borrelli – è invece pensare di scimmiottare Amsterdam o altre città tristemente famose per il mercato del sesso. Molti, poi, chiedono che venga destinato uno spazio alle coppiette che vogliono appartarsi, “Parchi dell’amore“ vorrebbero chiamarli, ma sono perplessa. In una città in cui cultura, sport, arte e associazionismo vengono penalizzati per mancanza di fondi, invece di creare spazi di socialità, creiamo spazi per isolarsi? Non mi pare vada nella direzione di una crescita della città stessa. Ancora meno sono d’accordo sull’ipotesi di “guadagnare” con tasse statali per l’una (quartiere o case) o l’altra ipotesi (parchi dell’amore)».

«Il cardinale Carlo Maria Martini – conclude Pezza Borrelli – avrebbe spinto tutti, laici e credenti, a confrontarsi tra loro e con gli interessati per cercare di trovare insieme le soluzioni migliori: a breve (maggiore controllo sui clandestini), medio (lavorare tutti insieme, associazioni, Chiesa e Istituzioni) e lungo termine (costituire un tavolo permanente e un osservatorio sul problema )».

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