Nessun diritto è tiranno

Gli effetti controversi delle pratiche di procreazione medicalmente assistita e utero in affitto. Dal caso padovano dell’impugnazione degli atti di nascita di coppie omogenitoriali alla decisione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Il riferimento costituzionale della cultura del limite nell’intervista all’avvocato Giuliano Rizzardi
Diritto e vita umana Foto di Public Co da Pixabay

La questione dell’utero in affitto o gestazione per altri rientra tra le tante questioni divisive in campo sociale e politico. Lo dimostra la recente spaccatura avvenuta fino a tarda notte della direzione del Pd a proposito di un emendamento proposto dal radicale Riccardo Magi, di +Europa, con l’intenzione di prevedere la legalizzazione della cosiddetta gestazione per altri solidale (senza corrispettivo per la donna che presta il suo corpo).

Continua, poi, a provocare un aspro dibattito quanto avvenuto a Padova lo scorso mese di giugno, quando la Procura di Padova ha impugnato 33 atti di nascita registrati dal sindaco dal 2017 relativi a coppie omogenitoriali facendo riferimento alle leggi vigenti e ai più recenti pronunciamenti della Cassazione.

Abbiamo sentito nel merito il parere dell’avvocato Giuliano Rizzardi del Foro di Brescia.

La decisione della Procura di Padova è presentata su molta stampa come un attacco ai diritti civili destinato a produrre gravi danni sui bambini oggetto di discriminazione. Ma di cosa stiamo parlando in realtà?
La questione è delicata e complessa, anche sotto il profilo giuridico. In sintesi possiamo dire che dopo l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione nel dicembre 2022 si è definitivamente chiarito che non è possibile costituire alla nascita il rapporto di filiazione con il genitore d’intenzione, cioè con il genitore che non ha alcun legame biologico con il figlio. In pratica, nel nostro ordinamento, il figlio può essere riconosciuto sulla base della registrazione dell’atto di nascita solo se sussiste un legame di sangue. Diversamente, le Sezioni Unite sostengono che il riconoscimento può avvenire solo ricorrendo al procedimento di adozione, tramite dunque un procedimento giudiziario e non amministrativo.

È stato un atto dovuto, a suo parere, oppure si poteva procedere diversamente?

Possiamo dire che sul punto la Corte Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) ha evidenziato che non sussiste un vulnus dei diritti civili e dell’interesse del minore respingendo, con la recente sentenza del giungo 2023, tutti i ricorsi presentati da coppie eterosessuali e omossessuali che contestavano il rifiuto opposto dalle autorità italiane di riconoscere anche a favore del genitore d’intenzione il figlio concepito all’estero tramite maternità surrogata (c.d. GPA).

Il caso di Padova riguarda però nello specifico figli concepiti all’estero da coppie di madri che hanno utilizzato tecniche di procreazione medicalmente assistita (c.d. PMA). Non si può pertanto ipotizzare un’eccezione, considerando che tale pratica diverge e non è equiparabile a quella della maternità surrogata?
In effetti c’è chi ha autorevolmente sostenuto, da ultimo il presidente emerito della Corte Costituzionale Giuliano Amato, che le conclusioni raggiunte nel caso di figli nati da maternità surrogata non possano essere applicate per automatismo al caso di figli concepiti all’estero da due madri che hanno deciso di ricorrere alla PMA. L’argomentazione è suggestiva. Mentre infatti la legge punisce con la sanzione penale chi ricorre alla GPA, chi ricorre alla PMA al di fuori dei casi consentiti dalla legge – la legge 40 del 2004 pone infatti un divieto per le coppie omosessuali, per le coppie anziane, per le persone singole e per il caso di inseminazione post mortem – è punibile solo con sanzione amministrativa. In senso tecnico si dice che ci troviamo di fronte al caso di una “legge meno che perfetta”.

Cosa vuol dire tale definizione?
Serve ad indicare quelle norme giuridiche che, sancendo un divieto, prevedono una sanzione ma non l’eliminazione dell’atto compiuto in violazione di tale divieto. In tesi dunque l’atto di nascita erroneamente registrato non potrebbe più essere annullato. L’orientamento consolidato della Suprema Corte la pensa però in modo diverso ritenendo legittimo sia il rifiuto opposto dall’ufficiale dello stato civile alla trascrizione di tali atti di nascita in favore del genitore di intenzione, sia l’impugnazione promossa dal pubblico ministro contro un atto di nascita illegittimamente registrato. Né è possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata, volta cioè a rendere accessibili per analogia le tecniche di PMA anche alle coppie omossessuali. Tale divieto è infatti stato riconosciuto legittimo dalla nostra Corte Costituzionale con la sentenza n. 221 del 2019 sul rilievo che l’infertilità delle coppie omossessuali non può in alcun modo essere equiparata all’infertilità delle coppie eterosessuali. In definitiva viene ribadito il concetto che, in assenza di un intervento legislativo, anche in tali casi non è possibile un riconoscimento alla nascita, cioè per via amministrativa.

Resta però da chiarire cosa succede per gli atti già trascritti, per quelle situazioni che si sono ormai consolidate, magari da anni. È possibile l’impugnazione di tali atti di nascita?

In effetti su tale questione si sta aprendo un nuovo ed inedito capitolo giudiziario che ci terrà a lungo impegnati. È il caso specifico di Padova da cui siamo partititi. Il Pubblico Ministero, che ha una competenza generale in materia di stato e capacità delle persone, ha infatti impugnato tali atti di nascita, anche risalenti al 2017, esercitando la specifica azione di rettificazione prevista dall’art. 95 del DPR n. 396 del 2000 e dunque chiedendone la cancellazione in quanto indebitamente registrati. La particolarità di tale azione è che può essere in ogni tempo promossa dal pubblico ministero.

A che punto si trova la procedura così avviata?

L’udienza è stata fissata in camera di consiglio a novembre di quest’anno, pertanto al momento il Tribunale di Padova non si è ancora pronunciato. Si è però sul punto già pronunciato il Tribunale di Milano in relazione all’impugnazione degli atti di nascita trascritti in favore di tre coppie di donne. L’impugnazione del pubblico ministero è stata dichiarata inammissibile, mentre lo stesso Tribunale di Milano ha invece provveduto ad annullare l’atto di nascita trascritto a favore di una coppia di uomini che ha fatto ricorso alla maternità surrogata. Al momento non sono chiare le ragioni di tale diversità di trattamento. Mentre per il caso delle coppie di madri, secondo il Tribunale di Milano, una volta che si è trascritto in modo erroneo un atto di nascita, non è possibile impugnarlo esercitando l’azione di rettificazione di cui all’ art. 95 cit., ma solo esercitando l’azione c.d. di stato prevista dall’art. 263 del codice civile. Il Tribunale di Milano si è posto però in consapevole contrasto con la Cassazione che ammette invece l’esercizio dell’azione di rettificazione.

Cosa ne deriva in caso di prevalenza della tesi del Tribunale di Milano?

È certo che se il ragionamento del Tribunale di Milano dovesse consolidarsi si otterrebbe il risultato pratico di salvaguardare gli atti di nascita trascritti da più di cinque anni. Tale “azione di Stato” è infatti imprescrittibile se esercitata dal figlio, mentre in linea generale se promossa da altri soggetti si prescrive in cinque anni. In conclusione, allo stato il quadro si presenta alquanto incerto e confuso per la tendenza dei giudici di merito di discostarsi dagli orientamenti espressi dalla Cassazione. Occorrerà dunque attendere ulteriori sviluppi perché la situazione si chiarisca in modo più puntuale.

Quali conseguenze pratiche comporta l’impugnazione degli atti di nascita sui diritti dei bambini nel caso in cui fosse accolta?
Nel nostro ordinamento il figlio non rimane senza tutela, posto che il legame di filiazione con il genitore biologico non è in alcun modo messo discussione, mentre nei confronti del genitore intenzionale la filiazione può essere accordata esperendo con successo il procedimento di adozione.

Quanto invece alla proposta in discussione di normare la pratica dell’utero in affitto come reato universale, secondo l’avvocata Gallo dell’associazione Luca Coscioni si tratta di una proposta fuori dalla realtà perché la GPA non è percepita come tale a livello globale, tipo la pedofilia, ma è lecita e normata in alcuni Paesi. Quale è il suo parere in merito?
Intanto precisiamo che la proposta in discussione in Parlamento prevede di estendere il reato previsto per chi pratica la maternità surrogata se il fatto è commesso all’estero. Attualmente il reato si perfeziona infatti solo a carico di chi ricorre a tale pratica rimanendo in Italia. Mi pare dunque improprio parlare di reato universale. Per arrivare a tale configurazione occorrerebbe infatti che la maternità surrogata fosse bandita in tutti gli stati, che vi fosse pertanto un consenso unanime di tutti gli stati a vietarla e punirla penalmente.

La questione sollevata ci fa entrare nel campo dei fondamenti e finalità del diritto…
Occorre, infatti, chiedersi se la riposta repressiva e sanzionatoria possa essere una soluzione adeguata. Mi pare che la questione di fondo sia molto più complessa perché quello che va recuperato è una cultura del limite. La nostra Corte Costituzionale, nella decisione n. 85 del 2013, ci ricorda che nessun diritto è tiranno”. Ossia nessun desiderio, per quanto legittimo, può configurare diritti assoluti, posto che ogni diritto, compresi quelli costituzionali, deve essere bilanciato con diritti e principi concorrenti. Ma prima ancora di un giudizio di bilanciamento la nostra Costituzione, che ha una chiara matrice personalista e comunitaria, pone la dignità umana come il fondamento ultimo ed invalicabile di tutti i diritti fondamentali, in quanto tale non assoggettabile ad alcuna strumentalizzazione. Pietro Piovani, filosofo morale e del diritto, ci parla della persona come di un “volente non volutosi”, sottolineando che la nostra condizione umana ci è in primo luogo data e noi dovremmo appunto saperla accogliere come dono, con i suoi limiti, le sue fragilità e contraddizioni.

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