Nell’Orto dei monaci

La nuova area archeologica accanto alla basilica romana di San Paolo fuori le Mura documenta la cittadella altomedievale, con edifici monastici e di accoglienza, che prese il nome di “Giovannipoli” dal papa che la circondò di mura
Basilica di San Paolo fuori le mura

L’età del riciclo: così anche si potrebbe definire quel periodo della storia della cristianità denominato tarda antichità o altomedioevo. Quando cioè i materiali che erano serviti ad erigere la Roma pagana – marmi, travertini, tufi, mattoni – venivano utilizzati per i nuovi edifici civili e di culto. Tipico esempio di questo reimpiego è l’area archeologica recentemente aperta al pubblico presso la basilica papale di San Paolo fuori le Mura, la cui visita illustra in maniera esemplare quanto appena affermato.

L’area, oggetto di indagini da parte dei Musei Vaticani e del Pontificio istituto di archeologia cristiana negli anni 2007-2009 in vista della realizzazione, accanto alla basilica eretta sulla tomba dell’apostolo, di un edificio funzionale all’accoglienza dei pellegrini,  è solo un settore limitato del cosiddetto Orto dei monaci, ovvero quei benedettini la cui presenza stabile a San Paolo si deve a papa Gregorio II (VIII sec.). Ma ciò che appare alla vista, grazie al percorso di visita dotato di pannelli didattici, è sufficiente per immaginare le trasformazioni che hanno interessato il sito lungo i secoli e al tempo stesso hanno visto la basilica costantiniana ingrandita sotto gli imperatori Teodosio, Valentiniano II e Arcadio, ristrutturata e arricchita di opere d’arte da vari papi: la più grande di Roma fino alla consacrazione della nuova San Pietro in Vaticano.

Anche un occhio poco esperto riconoscerà nella rozza tecnica muraria gli inserti di materiali reimpiegati da precedenti costruzioni, come accennavo all’inizio. Tra i marmi, alcuni di essi lavorati hanno restituito parti di sarcofagi, come quello con la scena (derivante dagli apocrifi) dell’arresto di san Pietro, che si ammira nell’annesso piccolo museo.

In ciò che resta dell’edificio più antico dell’area di scavo, databile tra la fine del V secolo e gli inizi del VI, va probabilmente riconosciuta una delle “case per i poveri” fatte erigere da papa Simmaco, mentre nello spazio a cielo aperto tra il complesso monastico, il portico e il lato sud della basilica alcuni bacini per la lavorazione della malta testimoniano – soprattutto nel corso dell’VIII secolo – le attività dei cantieri destinati alla costruzione degli edifici di servizio della stessa: frammenti marmorei e fusti di colonna si possono riferire appunto al ciclo della lavorazione della calce, ottenuta dalla cottura dei marmi.

Alcune strutture appartenenti ancora all’VIII secolo, tra cui un ambiente fornito di un pozzo, sarebbero pertinenti ad un settore marginale del monastero altomedievale, destinato all’accoglienza dei poveri e dei pellegrini. Desta curiosità la parte inferiore di un mini-campanile, unica sopravvivenza a Roma delle prime torri campanarie.

Visibile inoltre è parte di un portico a colonne, forse prolungamento altomedievale della lunga via porticata descritta dallo storico Procopio di Cesarea nella prima metà del VI secolo: destinata ai frequentatori della basilica, collegava questa alla città lungo la via Ostiense.

Pur limitata nell’estensione, l’area descritta è per ora l’unica testimonianza archeologica del complesso documentato dagli antichi scrittori accanto alla basilica paolina, analogamente ad altre basiliche paleocristiane extra moenia:  una vera e propria cittadella, che al tempo di papa Giovanni VIII (IX secolo), munita di mura  contro le incursioni dei saraceni, si chiamò “Giovannipoli”.

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