Nel regno di Accettella

Fatti e immagini di una famiglia di marionettisti romani che vanta mezzo secolo di attività. Dagli inizi, un pò per gioco, alla fama internazionale per il teatro di figura e animazione
Marionette della famiglia Accettella

Percorrendo la breve via Giovanni Genocchi, nel popolare quartiere romano della  Garbatella, è inevitabile notare un prefabbricato sul cui ingresso campeggia una scritta: Teatro Mongiovino. Accanto, un piccolo giardino ben curato con giochi per bambini e pupazzi colorati ammiccanti.

Entro nell’edificio e… «Ciao, bambini! Benvenuti a C’era una volta… una marionetta. Noi, gli Accettella, abbiamo a che fare per lunga tradizione con le marionette: pensate, è da oltre mezzo secolo che tiriamo i fili per animarle! Abbiamo cominciato in casa, giocando con papà e mamma. Poi da un gioco è diventato un mestiere; ed ora siamo conosciuti anche all’estero. «Prima di cominciare, guardatevi attorno: sulle pareti, per l’occasione, abbiamo appeso scene, costumi, pupazzi che hanno accompagnato questi nostri 60 anni e più. Notate laggiù quella minacciosa testa di belva? Rappresenta Darma, la tigre delle famose avventure di Sandokan, cui è ispirato uno dei nostri ultimi spettacoli, Circo Salgari. E più in là quel tipo in abiti orientali chi sarà? È evidente: il genio protagonista della Lampada di Aladino…».
Mentre Icaro dall’alto del palcoscenico fa le sue colorite presentazioni ad un pubblico incantato di giovanissimi, mi guardo attorno: questo Mongiovino, sede stabile della Compagnia dei fratelli Accettella, già coi suoi soli addobbi appare come il "regno" della fantasia.

Immaginiamo poi lo spettacolo ed altre meraviglie ancora promette la visita che verrà fatta dopo, a gruppetti, alla soffitta-museo di questo teatro. Ma silenzio, le luci si spengono e…
C’era una volta… verrebbe da dire. Anzi no: c’erano una volta Ennio e Maria, lui impiegato lei casalinga. E i loro quattro bambini: Luciana, Icaro, Bruno e Anna Maria. Un giorno i genitori, non sapendo come farli svagare (erano gli anni ’45-’47, e la Roma del dopoguerra offriva poco), si misero a fabbricare ingenui giocattoli da animare con fili, quindi una sorta di palcoscenico fatto di qualche asse di legno e poche lampadine: insomma, un abbozzo di teatrino di marionette.
Tutti i pomeriggi delle domeniche, insieme ad amici appassionati e volenterosi, i coniugi Accettella davano spettacolo nel corridoio di casa per i figli e i bambini di quel condominio in via Pompeo Ugonio. E l’incanto delle marionette prendeva grandi e piccini.

Ben presto la notizia di quelle recite cominciò a diffondersi. Arrivò così la proposta della prima uscita in pubblico, presso il cinema parrocchiale di Sant’Agnese. Da quel giorno, come Pinocchio appena uscito dalle mani di Geppetto, le marionette non stettero più ferme: gli inviti si susseguivano da parte di altre parrocchie, istituti religiosi, oratori, conventi, sale aziendali, Cral, dopolavori, case e ville patrizie. Ma per gli Accettella si trattava ancora soltanto di una divertente avventura. Finché approdarono alla sala del dopolavoro della Corte dei Conti in via Pastrengo, dove – fino al 1962 – ogni domenica pomeriggio diedero rappresentazioni, stavolta anche cantate e musicate. Ormai facevano sul serio.

Fra l’altro, nella passione quasi maniacale di dar vita ad un effettivo teatro in miniatura, si dedicarono – col concorso di abili artigiani – a perfezionare le marionette, a curare costumi, luci e scenografie, estenuandosi in prove accanite di favole, avventure, commedie a intreccio. Senza trascurare la frequentazione di altri marionettisti e burattinai anche di fama: per imparare il mestiere, per farsi sempre più autodidatti.
Fin qui aveva giocato il puro entusiasmo, senza alcun ritorno di denaro; ma dopo la morte nel ’59 (proprio durante uno spettacolo) di papà Ennio, come pure dopo lo sfratto, nel ’6l, dalla sala di via Pastrengo, cominciarono gli anni critici. Lasciar perdere tutto? Madre e figli non vollero rassegnarsi e, presi dalla stessa febbre, lottarono per la sopravvivenza dell’amato "teatrino". Per la verità, nella loro lunga storia, la lotta non è mai mancata in casa Accettella. 

Finalmente – siamo nel 1962 – venne trovata un’altra sala, messa stavolta a disposizione dai domenicani della Minerva, nel cuore storico di Roma: doveva servire solo per qualche replica, e invece in quella sede (ribattezzata Teatro del Pantheon) gli Accettella rimasero per vent’anni. Vent’anni di radicali trasformazioni. Intanto, da Compagnia a carattere familiare a Compagnia professionale, sotto la direzione artistica e organizzativa di Icaro, Bruno (cui si erano unite le rispettive mogli) e di Anna Maria.

La prima ad essere rivisitata fu la marionetta: fin allora usata per fare il verso al teatro cosiddetto adulto, ora invece se ne scopriva l’autonomia poetica quale soggetto onirico, surreale, metafisico, con un linguaggio "altro". E ciò anche grazie all’incontro con Ferdinando Codognotto, un geniale scultore in legno; fu lui a realizzare le prime marionette che rompevano con la tradizione e si esprimevano non tanto per i tratti figurativi quanto per il loro modo di articolarsi e snodarsi nello spazio: quasi dei “segni" in movimento.

Cambiarono, in quegli anni, i materiali narrativi; vennero introdotte novità che sconvolgevano il modo solito di raccontare, di usare la parola. E poi ancora altre novità e sperimentazioni per quanto riguardava le colonne sonore.
Erano gli anni delle trasferte non solo in Italia ma anche all’estero: Portogallo, Svezia, Germania, Russia e ancora più lontano: America Latina, Pakistan… E dovunque, anche in aree geografiche e culturali tanto diverse, si ripeteva la stessa "magia".Fascino dell’oggetto animato, capace di suscitare emozioni e di coinvolgere senza barriere di lingua, grazie al linguaggio immediato e universale dei gesti.

Ma ancora una volta una serie di disavventure mise in forse la sopravvivenza stessa dell’ormai popolosa tribù di marionette. Costretti all’affannosa ricerca di nuovi locali, nel gennaio dell’85 gli Accettella s’imbatterono nel prefabbricato che ora ospita il loro Teatro, tra piazza Odorico da Pordenone e via Cristoforo Colombo. E lì finalmente misero radici: era la "casa" in cui continuare quella sperimentazione della fantasia che sembra la molla inesauribile della loro attività, complici artisti catturati alle più diverse arti e trascinati anch’essi in temerarie avventure.

Oggi il Mongiovino  – divenuto un punto di riferimento, a livello nazionale, del teatro di figura e animazione – progetta e programma per tutto l’anno rassegne di spettacolo, seminari e mostre, come pure attività teatrali per bambini e ragazzi.
Tutto ok, a questo punto? Non proprio. A sentire Icaro e i suoi fratelli, le marionette – un po’ come il panda – sarebbero una specie in estinzione, almeno da noi in Italia, dove questo tipo di arte non gode purtroppo della stessa considerazione che ha all’estero.


Lo spettacolo è finito, ma il pubblico non riesce ad allontanarsi. Ora che sono comparsi da dietro le quinte anche gli Accettella e gli altri membri della Compagnia, c’è chi fa loro domande, chi vuol toccare gli originali e coloratissimi pupazzi, quasi per verificare se hanno vita propria… C’è aria di festa, di famiglia. Come doveva essere ai tempi di papà Ennio e di mamma Maria.
 
 
 
 

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