Nel cuore della città santa

I suoni, i canti, le preghiere, i silenzi della Gerusalemme antica, dal blog In dialogo
gerusalemme

Questa volta durante la permanenza a Gerusalemme sono stato ospitato al centro della città vecchia. Una tipica casa del posto: pietra bianca, scale ripide in marmo bianco, volte altissime, con muri spessi in pietra e con le persiane in lamiera. Il clima freddo di questi giorni si trasferisce all’interno, dove, tuttavia, si sta bene. È un posto privilegiato per scoprire la città santa in tutti i momenti del giorno e della notte. E non è necessario uscire. Dalla mia camera si possono seguire le fasi della giornata e della vita degli abitanti e dei pellegrini: parlano le loro voci.

La prima è quella del muezzin. In questi giorni l’appuntamento è alle 04.45 di ogni mattina. Amici che erano stati qui per qualche giorno mi avevano messo in guardia: non riuscirai a dormire, è terribile. La voce del muezzin, invece, la trovo bellissima. È un canto caldo, solenne che rompe il silenzio della notte e fa sì che il primo pensiero sia verso Dio. Vivendo in India per 28 anni e girando in tante parti del mondo sono abituato a sentire questo canto che eleva verso l’Assoluto. Ma questo di Gerusalemme è particolarmente bello: sembra abbiano scelto proprio la persona giusta per celebrare il posto dove il Profeta è salito al cielo.

Poco dopo, sono gli armeni a farsi sentire: hanno una casa davanti a quella che mi ospita e sul retro una chiesa. Anche i loro canti sono bellissimi e rivelano l’anima di un popolo e di una cultura, che ha sofferto e rischiato l’estinzione, ma qui a Gerusalemme è presente con un suo quartiere. Si susseguono i rintocchi di campane e, secondo il vento, arrivano alla casa dove sto anche i canti della Basilica del Sepolcro: in greco, in italiano, in arabo. Intanto suonano le campane. È impossibile dire da dove, tanti sono i campanili delle chiese dei diversi riti e tradizioni cristiane.

Albeggia e, allora, ecco i primi gruppi che ripercorro la via dolorosa. La casa si trova proprio fra la seconda e la terza stazione, vicino alla chiesa dell’Ecce Homo. Qui i canti sono i più svariati, come le lingue: russo, francese, spagnolo, italiano, e in questi giorni ho sentito il tagaloq ed anche il tamil. Sembra che tutto il mondo prima o poi si dia appuntamento su questi strade ciottolose dove una pietra non è uguale all’altra, per celebrare la strada di Cristo verso il Calvario.

È ormai l’ora dei bambini che corrono verso le loro scuole; arabo ed ebraico prevalgono. Non solo i bambini, ma anche le mamme che li accompagnano si fanno sentire: più chiassose quelle palestinesi e più contenute quelle ebre,e ma sono altre voci che aggiungono alla miriade di quelle che si ascoltano nella città. Le botteghe cominciano ad aprirsi e nel quartiere arabo il vociare è rumoroso e caotico, si grida per attirare l’attenzione, ma anche contrattare sui prezzi o, semplicemente, per salutare qualcuno che passa dall’altra parte della strada, piccola e stretta, è vero, ma così affollata che non si arriva a fermarsi per salutare. Si ripete la voce dei muezzin, ormai non così chiara a causa del chiasso della vita giornaliera. Ma chi la vuole cogliere la può cogliere. Ogni voce ha una sua tonalità ed una lunghezza d’onda. Si tratta di sintonizzarsi su quella giusta per ascoltare ciò che serve al momento giusto.

E così tutto il giorno, fino alla sera tardi, quando ancora si sentono pellegrini sulla via dolorosa, o un gruppo di turisti che si è attardato al Muro del Pianto e torna a notte inoltrata verso l’hotel. Poi la notte con il suo silenzio interrotto dalle persiane in lamiera che, spesso, il vento che viene dal deserto fa sbattere impietosamente sulle pietre dei muri fino a piegarle.

Le voci di Gerusalemme sono multi-lingue e multi-religiose, sono voci di vita che potrebbero rintracciarsi in molte città, ma, più spesso ancora qui, sono voci di preghiera che salgono verso Dio e fanno meditare. Ognuno pensa di farsi sentire nel suo modo unico ed irripetibile, nella sua lingua e Dio ascolta tutti e tutto: come un Padre che sa non fare distinzione per i figli. Per lui e per la madre sono tutti figli unici.

Ma c’è un’altra voce di Gerusalemme che parla, a volte, più forte delle altre: il silenzio. Il silenzio della notte, dopo una giornata piena di voci e rumori, il silenzio che scende sui quartieri ebraici dal venerdì sera all’avvicinarsi dello shabbat. Il silenzio che al tramonto del venerdì scende sulle case dove gli ebrei vivono. Lì si celebra lo shabbat nell’intimità della vita di famiglia, ma nulla si avverte dall’esterno. Tanto il musulmano deve gridare al mondo la sua necessità di innalzare il suo pensiero a Dio altrettanto l’ebreo si chiude fra le mura domestiche, quasi nuovo tempio dopo la distruzione di quello di Gerusalemme. Lì, con la sua famiglia, prega e canta e lo fa con discrezione. Ma il silenzio è una voce importante, che bisogna sapere cogliere, perché rivela l’anima del popolo eletto.

Ecco un’altra faccia della magia di questa città, che può essere letta ed ascoltata in mille modi e non è mai abbastanza.

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