Nel chiostro delle regine

Nel convento di Santa Chiara a Napoli, un gioiello di maiolica recentemente restaurato.
chiostro santa chiara napoli

Lo fece erigere Sancia di Maiorca, sposa di Roberto d’Angiò, agli inizi del 1300. E quattrocento anni dopo un’altra regina di Napoli, Maria Amalia di Sassonia, ne ordinò il rifacimento ad opera di Domenico Antonio Vaccaro. Questi, lasciando intatta l’archeggiatura trecentesca dei quattro lati, ideò la decorazione in maiolica degli ambulacri e del giardino interno, affidandone l’esecuzione ad una delle più rinomate botteghe di "riggiolari" dell’epoca: quella dei Massa. Il risultato fu «uno dei più magnifici chiostri che forse si trova in Italia, che reca a chi lo mira una incredibil vaghezza nel concerto de’ lavori di lusso», come ebbe a scrivere Bernardo De Dominici nella sua biografia del Vaccaro. Un miracoloso connubio tra due stili opposti, il gotico e il rococò.

 

Il chiostro è quello di Santa Chiara in Napoli, una gemma rimasta nascosta alla maggior parte dei napoletani fino ai primi del Novecento, a motivo della severa clausura. Ancor oggi sembra impossibile che nel bailamme e nell’angustia di spazio del centro storico si possa aprire una tale oasi di pace; ancor più, forse, stupisce il tono festoso e "disimpegnato" delle decorazioni, senza alcun riferimento concettuale o simbolico alla sacralità del luogo: tralci di vite e glicini si avvolgono a spirale attorno ai pilastri scandenti i due grandi viali che s’incrociano al centro del giardino e sorreggono il pergolato, mentre un’interminabile serie di vedute fantasiose di tema agreste, marinaro, mitologico e folclorico sorride dalle spalliere dei sedili. Scene analoghe si susseguono lungo i muretti degli ambulacri. Attraverso tale impianto decorativo dai colori forti e vivaci, il mondo esterno nelle sue espressioni più innocenti e benevole torna ad allietare coloro che l’avevano lasciato: monache che, essendo napoletane oltre che seguaci di Francesco, non potevano ripudiare né i colori né le bellezze del creato.

 

Il convento, dopo l’epoca d’oro che vide trecento clarisse più le "converse", si spopolò progressivamente, al punto che negli anni ’20 le poche rimaste si trasferirono in quello attiguo dei frati minori, cedendo loro il proprio. Ma se il "munasterio" di Santa Chiara venne reso celebre in tutto il mondo lo si deve alla nostalgica canzone scritta da Michele Galdieri un anno dopo il bombardamento del 4 agosto 1944, che distrusse il complesso francescano e danneggiò lo stesso grande chiostro.

 

Oggi, sanate le ferite della guerra, altri nemici minacciano l’integrità di questa che è la più vasta composizione maiolicata esistente in Italia. Il più temibile è l’umidità, che vi ristagna per l’insufficiente sistema di drenaggio delle acque piovane: essa raggiunge le piastrelle attraverso i muri e, favorendo il proliferare di alghe e di efflorescenze saline, provoca il distacco dello smalto colorato e talvolta anche di una parte del "biscotto" si cui esso è appoggiato. Il restauro del monumento è stato la risposta all’appello lanciato da Napoli ’99, una fondazione che da anni si batte per la salvaguardia del patrimonio artistico napoletano. Grazie ad esso, il chiostro delle due regine, scampato a due distruzioni, è tornato ad offrire a tanti – nell’equilibrio di architettura, decorazione e natura – il messaggio di una superiore armonia.

 

Per visitare il sito del complesso museale del monastero, clicca qui

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