Nair: viaggiare nel Tempo

Nel suo nuovo Ithaca ispirazione d’artista e pazienza artigiana
nair

Tutto di lei sfugge ai cataloghi e ai cliché. A cominciare dalle sue canzoni, in perenne equilibrio tra l’eleganza ariosa della lirica e l’estroversione del pop, senza appartenere né all’uno né all’altro ambito. Del resto quando ci si prende cinque anni per dare un seguito al proprio album di debutto è chiaro che si ha a che fare con un’anomalia…

 

«La mia ispirazione segue tempi e percorsi tutti suoi – dice allungandomi uno di quei suoi sorrisi d’ambrosia –. E devo dire grazie a Tony Verona (il suo discografico, ndr) che li ha rispettati, e a Fio Zanotti (l’arrangiatore, ndr) che si è adeguato».

 

Nair è una donna ad un tempo semplice e complessa. E al di là della bellezza abbagliante è sempre stata più interessata alla coerenza del proprio sentire che ai diktat dei mercati. Con un’attenzione ai dettagli che si coglie al primo ascolto: parole e note assemblate nel segno di una bivalenza che è cifra essenziale del suo essere, perché da queste nuove canzoni traspare una personalità insieme solare e racchiusa nel proprio intimo, dolce e piena d’energia, onirica e carnale, cosmopolita e assolutamente mediterranea.

 

«Sono nata a Rovigo. Ho lavorato spesso negli States e in Europa, e attualmente sono più popolare in Asia che non in Italia, anche se qui ho avuto esperienze decisive per la mia crescita: gli incontri con Bocelli, Battiato, Baglioni, il maestro Accardo, Lucio Dalla…».

 

Ed ecco un’altra anomalia: un’artista che mediaticamente riparte quasi da zero, a dispetto di una carriera di caratura internazionale. Anche per questo le sue canzoni hanno sì l’immediatezza tipica dei successi pop, ma al contempo lo spessore e l’aura delle opere destinate a durare nel tempo.

 

« È il complimento migliore che potessi farmi! Ithaca è la metafora di un viaggio alla ricerca del senso della Vita e del Tempo. Un pellegrinaggio fortemente autobiografico, con tutti i chiaroscuri e i saliscendi di un percorso umano ed artistico tanto impervio quanto necessario: per arrivare a diventare ciò che si deve essere».

 

Potrei aggiungere della sua straordinaria estensione vocale (4 ottave…), della classe compositiva e interpretativa, e del suo pianismo ad un tempo leggiadro e guizzante; potrei dirvi che in questo disco il cosmo s’inabissa nell’infinitesimo per poi riabbracciare l’infinito, mentre la classica flirta col jazz, il pop con la canzone d’autore: ma sono solo parole se non sostanziate dall’ascolto.

 

Allora aggiungo solo che dischi così escono di rado, specie in Italia; e che al di là della sua perfezione formale, le rotte di Ithaca consentono, alla fine del viaggio, di scoprire la dimensione umana – e spirituale, mi verrebbe da aggiungere – di un’artista necessaria come poche altre alla scena contemporanea.

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