Moise et Pharaon

Riccardo Muti ha diretto l’opera-oratorio di Rossini al teatro dell’Opera di Roma.
Riccardo muti

Il 26 marzo 1827 i quattro atti del Moise andavano trionfalmente in scena all’Opèra di Parigi. Rossini non era lieto. Sua madre era morta da pochi giorni e la depressione di cui iniziava a soffrire, incombeva. Beethoven era morto il giorno prima.

 

Rossini aveva composto un capolavoro. L’edizione napoletana del 1817, nota come Mosè in Egitto, era stata ampiamente rivisitata per conformarla al gusto “francese” amante del “declamato”, dei cori e dei balletti. L’ascolto delle due versioni si presta ad una valutazione differente: a Napoli Rossini era più sperimentale, a Parigi apre la via al grande affresco del Guglielmo Tell e al grand-opèra. La musica dell’edizione francese è comunque molto bella, soprattutto i cori; l’orchestra è raffinata, ricca di sfumature, ogni strumento viene sbalzato con modulazioni e colori vivaci e le voci umane contengono il virtuosismo postbarocco dentro forme di grande armonia.

 

Riccardo Muti, lavorando di cesello sull’orchestra, i cantanti e il coro, ha ricreato la bellezza di una musica che descrive il conflitto Mosè-Faraone come un affresco corale grandioso: il Dio implacabile degli ebrei è sopra le storie d’amore degli uomini, vince sull’ambiguità del re egizio. I recitativi scultorei, le preghiere di una religiosità autentica – la celebre Dal tuo stellato soglio – i duetti melodiosi, trasportano in un mondo di epica spiritualità, con una orchestra, quella dell’Opera romana, assai duttile: le file dei violini, gli ottoni e i legni hanno suonato con eleganza di colori e di fraseggio.

 

L’allestimento di Pier’Alli, fondato su viedeoproiezioni, ha dato vita ad uno spettacolo visivamente allettante e moderno: la scena del passaggio del Mar Rosso – che ricordava il film di De Mille I dieci comandamenti – risultava di notevole effetto visionario.

 

Fra le voci, Ildar Abdrazakov, basso dalla voce plastica, è stato un Mosè impetuoso; nel cast sono emersi Juan Francisco Gatell, Sonia Ganassi e Nicola Alaimo, voci belle, “rossiniane”, cioè luminose e malleabili. Potente il coro. Rossini (e Muti) hanno dato nuova linfa al teatro romano.

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