Milano accoglie Mario Delpini

Il nuovo arcivescovo saluta i milanesi chiedendo una fraternità sciolta, semplice, operosa, fiduciosa

In una bellissima giornata di sole di inizio autunno don Mario Delpini ha fatto il suo ingresso ufficiale come nuovo arcivescovo di Milano. La prima tappa del cammino verso il Duomo è stata la sosta alle 16 nella basilica di Sant’Eustorgio, la chiesa dei primi martiri cristiani, dove è stato accolto dal sindaco, Giuseppe Sala, e salutato da centinaia di ragazzi degli oratori lombardi. Ha benedetto 200 catecumeni in attesa del battesimo. È poi seguito un breve incontro con i membri delle chiese cristiane, dai valdesi agli ortodossi.

Scortato da un ‘ala di folla festante e gioia si è poi diretto in Duomo, dove ad attenderlo ha trovato il suo predecessore Angelo Scola e una folla di migliaia di fedeli arrivati da tutta la Diocesi. Sul sagrato l’arcivescovo sorridente ha stretto le mani e abbracciato tutti quanti ha potuto. In cattedrale, poi la solenne celebrazione eucaristica tra Cardinali vescovi e sacerdoti. È la sua prima omelia da arcivescovo.

Don Mario è così, è semplice e profondo. La sua città, di cui adesso è primate, la conosce fin nelle sue pieghe più profonde. Conosce l’operosità dei milanesi e le fragilità. Sa di quanta ricchezza spirituale la chiesa che è stata di Ambrogio e di Carlo è fatta, e conosce altrettanto bene le meschinità che questa polis deve affrontare. La sua omelia è una pennellata sulle realtà in cui è immersa la chiesa di Milano.

«Forse vi domandate quale sia il mio programma pastorale, forse vi domandate quale sia il mio messaggio per la Città di Milano e le terre di Lombardia: una immensa gratitudine e l’impegno a continuare nel solco segnato con tanta intelligenza e fatica da coloro che mi hanno preceduto in questo servizio. Con l’intenzione di essere fedele solo al mandato del Signore, in comunione, affettuosa, coraggiosa, grata, con il santo Padre, papa Francesco, che mi ha chiamato a questo compito e che ispira il mio ministero».

Alla città tutta ha chiesto l’impegno per uno stile di vita, una consuetudine a riconoscerci in una fraternità sciolta, semplice, operosa e fiduciosa. A non essere «inclini più al lamento che all’esultanza, che ritiene il malumore e il pessimismo più realistici dell’entusiasmo, che ascolta e diffonde con maggior interesse le brutte notizie e condanna come noiosa retorica il racconto delle opere di Dio e del bene».

Agli islamici ha rivolto «una parola che è invito, promessa, speranza di percorsi condivisi e benedetti da una presenza amica di Dio, che rende più fermi i nostri propositi di bene. Saluto anche loro chiamandoli: fratelli, sorelle!».

Ha poi parlato agli atei e agli agnostici: «Sono qui presenti, forse per dovere, forse per curiosità, forse perché apprezzano le opere buone della Chiesa Ambrosiana e dei cattolici milanesi. Anche a loro mi rivolgo con il desiderio di un incontro, con la speranza di una intesa, con l’aspettativa di trovarci insieme in opere di bene per costruire una città dove convivere sia sereno, il futuro sia desiderabile, il pensiero non sia pigro o spaventato».

E ha raccomandato a tutti di «non disprezzate troppo voi stessi: Dio vi rende capaci di amare, di vivere all’altezza della dignità di figli di Dio, vivi della vita di Dio. La gloria del Signore vi avvolge di luce. Non disperate dell’umanità, dei giovani di oggi, della società così come è adesso e del suo futuro: Dio continua ad attrarre con il suo amore e a seminare in ogni uomo e in ogni donna la vocazione ad amare, a partecipare della gloria di Dio. Ecco, il mio messaggio, il mio invito, la mia proposta, l’annuncio che non posso tacere». Un’omelia di speranza, che punta all’essenziale della fede, dove più volte la parola amore è il filo rosso che la lega.

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