Incontrarsi liberamente nella parresia. È stato questo uno degli esiti positivi dell’incontro «Mediterraneo frontiera di pace» che si è svolto a Firenze fra il 23 e il 28 febbraio ed organizzato dalla CEI.
I vescovi dell’area mediterranea, che si sono ritrovati a distanza di due anni dal loro primo incontro di Bari, hanno espresso unanimemente la volontà di dare corpo, contenuti e concretezza al respiro mediterraneo comune che il processo avviato dal cardinale Gualtiero Bassetti ha rimesso al centro dell’autocoscienza delle chiese rivierasche.
Il metodo di lavoro delle giornate fiorentine è stato lo stesso di quelle baresi: non un convegno con relazioni da ascoltare, ma un incontro di fraternità le cui sessioni di lavoro sono state interamente dedicate all’ascolto reciproco, in piccoli gruppi di lavoro e nell’assemblea.
Come sempre accade non meno preziosi sono gli scambi nei momenti informali, soprattutto durante i pasti, i dopocena.
Il metodo dice l’intenzione, esplicitata più volte da Bassetti, di voler, con la massima semplicità (che è impronta forte del suo carattere), avviare un processo e non dettare contenuti o agende. Un metodo che “scommette” sullo Spirito Santo, che genera comunione, e sulla disponibilità all’ascolto, alla stima reciproca e all’impegno comune dei partecipanti.
Una scelta di pazienza rischiosa, poiché non punta a conclusioni e gesti eclatanti atti a segnalarne (magari solo simbolicamente, come spesso accade) il successo, ma assume la consapevolezza che le distanze fra le percezioni della realtà sociale, economica, culturale politica e anche ecclesiale fra le varie sponde del Mediterraneo sono profonde e frutto non solo della diversità delle situazioni ma anche dell’assenza – lungo molti secoli – di luoghi di sincero dialogo e di fertili sintesi. Anche ai vescovi cattolici mediterranei, prima di Bari e di Firenze, mancava un luogo dove potersi incontrare fra pari e con parresia.
Per permettere questi incontri di fraternità è necessario un considerevole sforzo organizzativo quale quello profuso dalla Conferenza Episcopale Italiana e dalla Chiesa fiorentina (con la sua squisita accoglienza). Impegno organizzativo che a Firenze è stato ancora più complesso per la necessità di coordinarsi con la parallela, contemporanea, e del tutto autonoma (come è ovvio e necessario che sia) organizzazione del convegno dei sindaci del Mediterraneo, invitati dal primo cittadino di Firenze.
L’occasione che anche i sindaci del Mediterraneo si incontrassero, loro per la prima volta, cogliendo la stessa ispirazione lapiriana del cardinale Bassetti, esigeva il tentativo di organizzare un momento comune, non fosse altro per permettere un incontro pubblico fra autorità locali e vescovi cattolici che in determinate aree del mediterraneo non è certo una consuetudine.
I sindaci del Mediterraneo, accettando di incontrare i vescovi hanno, in qualche modo, riconosciuto il valore della presenza della chiesa cattolica nella costruzione del bene comune della città, anche là dove è minoranza sofferente.
Certo anche in questo caso è stato necessario assumere dei rischi, perché – nonostante qualche nostalgico del consociativismo confessionale – le autorità politiche si muovono autonomamente da quelle religiose. Incontrarsi vuol dire mettere nel conto di partire da basi anche molto distanti e forse dover constatare che i tempi non sono maturi per formulare punti in comune.
Il coraggio del dialogo, tuttavia, è stato premiato e ha prodotto una convergenza su temi come, tra le altre cose, il rispetto della diversità, la salvaguardia del clima, il patto educativo, l’affermazione che la gestione dei processi migratori non sia mai in contraddizione con il rispetto del diritto umanitario.
Una base comune su principi ancora troppo astratti, certamente, ma non era scontata e soprattutto è cosa nuova che ciò nasca dall’incontro fra sindaci e vescovi mediterranei, come espressione di una comune cultura mediterranea.
Le questioni poste dall’incontro interreligioso ad Abu Dhabi e ribadite, tra l’altro come priorità teologica e pastorale, nel discorso del papa Francesco a Napoli del 21 giugno 2019, hanno trovato in Palazzo Vecchio, nell’incontro fra sindaci e vescovi mediterranei, un inedito laboratorio che, come speriamo, ha aperto nuovi sentieri.
Il processo avviato a Bari e proseguito a Firenze ha assunto il fatto che non solo è difficile il dialogo all’interno delle città, fra le sue varie componenti culturali, religiose, politiche, ma anche dentro la stessa chiesa.
Lo scambio fra i vescovi in Santa Maria Novella non è stato di maniera, constatando che anche termini fondamentali come secolarizzazione, laicità, fraternità, evangelizzazione, missione, comunità religiose hanno risonanze diverse a seconda delle regioni.
Ciò mi ha fatto personalmente riflettere su quanto sia importante che lo spazio mediterraneo diventi sempre più luogo di incontro anche con i vescovi dell’Europa del nord; del resto i vescovi del Mediterraneo presenti a Firenze hanno espresso il desiderio di scrivere loro una lettera.
Proprio la ricchezza delle tradizioni liturgiche, teologiche e canoniche del Mediterraneo può rafforzare la consapevolezza dell’unità nella diversità. Certamente fra i vescovi riuniti a Firenze è emerso come la forza della comunione ecclesiale non si realizza e non si esprime sempre con la convergenza su medesime conclusioni ma in forza della radicalità con cui non si rinuncia per nessuna ragione divisiva all’accoglienza fraterna e all’ascolto fraterno.
Ad esempio il punto di vista dei vescovi del Medio Oriente e del Maghreb sulle migrazioni e sul loro impatto, è diverso da quello dei vescovi della sponda nord e certamente ancora più diverso, è il punto di vista sul valore da dare alle rivendicazioni di alcuni diritti civili, molto forte nella coscienza dei popoli della sponda nord del Mediterraneo a differenza del sud. Lo specifico apporto mediterraneo al processo sinodale della Chiesa universale potrebbe dare concretezza e coraggio nell’accettare la diversità delle prospettive teologiche e degli approcci pastorali.
La guerra in Ucraina ha ovviamente occupato i pensieri dei vescovi riuniti a Firenze. Mi pare significativo il richiamo del cardinale Bassetti nella sua prolusione iniziale ai processi di Helsinki e di Barcellona, intesi come “processi molto ambiziosi che configurano la costruzione della duplice e intersecata “casa comune europea e mediterranea”.
Una casa comune europea che va dalle coste atlantiche del Portogallo agli Urali e una casa comune mediterranea. I processi che costruiscono queste due “case” sono correlati: si sostengono o si paralizzano vicendevolmente.
«Se tutti i popoli europei – continua Bassetti – non trovano garanzia di sicurezza nella loro cooperazione, fatalmente trasferiranno nel resto del Mediterraneo le loro tensioni; dall’altra parte finché i popoli mediterranei non troveranno nella loro cooperazione garanzia di sicurezza, i nodi irrisolti della loro convivenza peseranno sugli equilibri mondiali».
In effetti, il principio di potenza non è più assolutamente in grado di garantire sicurezza; un’alternativa alla casa comune mediterranea e alla casa comune europea non esiste; negli ultimi 30 anni, il ricorso alla forza, fuori dalla legalità internazionale, non ha risolto alcuna crisi, ma è la causa principale del loro ulteriore deterioramento con l’immane sofferenza che ciò implica.
Parole, drammaticamente in controtendenza in questi giorni drammatici, non per questo meno vere.
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