Quando manca la terra sotto i piedi

A Teramo e in provincia, fra i Comuni che oltre alle scosse di terremoto, hanno subito i danni delle frane.

Un improvviso gorgoglio ci sor- prende mentre camminiamo sul- la terra squarciata. Sono giorni che non piove, eppure tra le zolle si sente il rumore di un ruscello   e dalla strada sbriciolata affiora l’acqua. Siamo a Ponzano di Ci- vitella, in provincia di Teramo, Abruzzo, dove un’intera collina sta scivolando lentamente giù. 60 ettari di terreno, un’area più grande di 80 campi di calcio, che  spiega il sindaco Cristina Di Pie- tro – nessuno può contenere. 33 le case evacuate, circa 130 le perso- ne sfollate. L’area è sorvegliata giorno e notte. Si tengono i fari accesi sul primo palazzo danneggiato: se si verificano altri crolli, significa che la frana continua. Rispetto alle prime settimane, quando la terra scivolava giù un metro al giorno, lo smottamento è rallentato, ma nuove crepe appaiono quotidianamente su queste ville ormai da demolire.

Sulla collina che frana Non fa troppo rumore, la terra quando scivola a valle. Perlomeno all’inizio. Quando poi arriva alle case – mi racconta chi da questi pa- lazzi è dovuto scappare –, si sente il rumore delle mura che si spostano e dei pavimenti che si sollevano, mentre le pareti si crepano, la terra blocca le porte e quello che sem- brava solido cade a pezzi. «Erano le 11 del 13 febbraio. La signora che abita nella prima casa colpita dalla frana – racconta Sabrina Ferramini, figlia del fondatore dell’hotel Ermocolle – ha sentito dei rumori e ha dato l’allarme. Mia zia mi ha telefonato per avvertirmi. Era agitata, piangeva. Abbiamo dovuto sgomberare la casa, lasciare il luogo dove abbiamo trascorso l’infanzia. La frana è peggio del terremoto: dopo le scosse puoi ricostruire una casa che non crolli; con la frana, invece, perdi l’abitazione, l’orto, il terreno. Perdi tutto, perché lì non potrai più vivere. È dolorosissimo, ma – aggiunge Sabrina, quasi consolandosi – non va bene attaccarsi troppo ai beni materiali. La vera forza è nel dare, nel donarsi, sapendo che niente suc- cede senza un motivo».

Il caposquadra Fabrizio Sulli e gli uomini del comando dei vigili del fuoco di Pescara, in servizio a Pon- zano, ci accompagnano col caschetto calcato in testa sui luoghi della frana, che non è certo l’unica della zona. A Ripe ce n’è un’altra, come pure a Campli, Atri, Tortoreto, Cermignano, Bisenti… Ci colpisce una insegna: “Benvenuti allo sfascio”. Dietro i cancelli chiusi vediamo un’auto distrutta e un edificio disallineato, che ha perso una base sicura. Arriviamo all’ultima casa, sventrata dalla furia delle acque, che hanno scavato un tunnel sotto le fondamenta. E forse è proprio di qualche falda acquifera la colpa di quanto sta accadendo,  ci  spiegano  i  residenti. La frana, infatti, si è messa in moto dopo gli ultimi terremoti e lo scioglimento dell’incredibile   nevicata di gennaio. Forse qualche sorgente ha cambiato il proprio corso, forse la neve sciogliendosi ha ingigantito la falda, forse, forse, forse… Seduti fuori al bar, tre uomini guardano la collina dissestata. Sono stati evacua- ti per precauzione.  «La nostra  casa – spiegano Tonino e l’anziano pa- dre Abramo – è intatta. Chissà se un giorno potremo tornarci. Hanno tol- to l’acqua e l’elettricità. Nemmeno le strade ci sono più. Per arrivarci devono accompagnarci i vigili del fuoco». Quest’anno,  aggiunge Gabriele, «siamo stati colpiti in tutti  i modi. Lo Stato deve aiutarci». «Quello che è accaduto è troppo, troppo, per noi. Lo stress – sussurra Abramo – ci farà morire». La sera si torna agli alloggi provvisori, ma al mattino di nuovo al bar, a guardare la casa abbandonata, la collina franata, la propria storia a un bivio.

Sull’orlo del baratro Se a Ponzano la collina è franata lentamente, a Castelnuovo di Campli la terra è semplicemente caduta giù. Prima la strada e un palo del- la luce. Poi un garage e un pezzo  di muro. «Ho evacuato circa 120 persone – afferma il sindaco Pietro Quaresimale –, ma se non si interviene rapidamente, la frana rischia di estendersi ulteriormente, andando a pregiudicare altre abitazioni. Servono interventi concreti e noi sindaci da soli non possiamo più intervenire, abbiamo bisogno del supporto del governo». Mentre si accerta che nessuno si avvicini allo strapiombo, Carmine Golia, coordinatore della protezione civile di Torricella Sicura, ci racconta dei disagi di chi ha lasciato le abitazioni e dell’emergenza vissuta dopo il terremoto, con le strade impraticabili e la neve altissima. «Andavamo a portare i viveri alle persone bloccate nelle case – ricorda ed erano loro a farci coraggio, a darci il cuore». Ed è un cuore grande, quello di questa gente forte, che nonostante questi mesi durissimi è rimasta accogliente, aperta, sorridente. A pochi metri dal baratro, il signor Arnaldo ci osserva dalla finestra. La frana non lo spaventa. Del resto, ci  racconta,  «sono già stato tirato fuori dalle macerie due volte». Dall’orlo del baratro cerchiamo di spostarci a valle. Alcune strade sono bloccate e chiediamo come arrivarci a un uomo. È Davide  Guiguet, presidente della protezione civile di Campli: lui  e i suoi uomini sono i cosiddetti “cinghiali della Laga”. Deve portare una bistecca alla nonna ma, alla guida del fuoristrada ricevuto in dono durante l’emergenza, non esita ad accompagnarci sui luoghi della frana. «Stavamo aiutando gli sfollati – racconta –, quando siamo diventati noi bisognosi di aiuto». Davanti a noi si erge la parete nuda della collina, con le case sul bordo del precipizio. La solidarietà di cui ci parla Davide sembra l’unica certezza da cui ripartire.

Teramo,  la  città che vuole rinascere Quando arriviamo a Teramo, ci accoglie un palazzo completamente imbracato e puntellato. Ma girando per la città, sembrano pochi i segni visibili lasciati dal terremoto. «È una sorta di illusione ottica», ci spiega Rosanna, che lavora in Comune. I palazzi sgomberati sono centinaia, 200 i luoghi di culto inagibili in tutta la diocesi. Tremila le persone evacuate e tantissime quelle scappate per paura di nuove scosse. All’arrivo nel centro storico, scorgiamo interi palazzi transennati. Questa storica città è ferita al cuore, ma ancor più nello spirito. Qui si piangono ancora i tanti figli morti nel sisma de L’Aquila, qui sono state avvertite con forza tutte le scosse che hanno devastato il  Centro  Italia  e sempre  da queste parti gli esperti dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ipotizzano nuovi, devastanti terremoti. Ecco perché è difficile restare a Teramo. Ecco perché  tanti,  anche  se il numero non è quantificabile, pur avendo le case integre, non riescono a godere di sonni tranquilli e hanno scelto di abitare sulla costa, in case di proprietà o in affitto, tornando solo per lavorare e lasciandosi alle spalle,  di  sera,  una  città  fantasma.

«Noi – afferma il sindaco Maurizio Brucchi – chiediamo solo di tornare a vivere. Se avremo le risorse, termi- nerà anche lo svuotamento».

La popolazione, spiega il  vescovo di Teramo, mons. Michele Seccia, sta affrontando l’esperienza del “deserto”. Un percorso difficile, ma decisivo, che deve coinvolgere tutti coloro  che  vogliono  contribuire al bene della comunità. Per questo la diocesi attiverà dei “Caritas point”, sportelli di ascolto per fornire alla popolazione un orientamento e un sostegno psicologico, economico e lavorativo. È la gente la vera forza di questa città. «Noi – spiegano Peppe e Lucia – abbiamo scelto di vivere a Teramo e non la lasceremo. Durante il terremoto abbiamo riscoperto la condivisione e l’aiuto  reciproco, a partire dal nostro condominio». Ed è da questa solidarietà, da questa amicizia e vicinanza umana che bisogna ripartire, per ricostruire le anime e le case, per trovare la forza di ricominciare e di restare.

 

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