Magistrato Aliquò: Riina è ingiustificabile

Indignazione e pena nelle parole del magistrato Vittorio Aliquò che nel 1993 partecipò alla cattura di Totò Riina: «Si cerca di propagandare una visione del tutto falsa della mafia». Positiva la reazione dei librai che non intendono distribuire il libro del figlio del capo dei capi della mafia
Porta a Porta

Un episodio sconcertante per i non addetti ai lavori. Convergenza di interessi per chi si occupa di comunicazione. Cosa avrà spinto la trasmissione Porta a Porta a invitare Salvo Riina, figlio del boss mafioso Totò, a parlare del suo libro? Entrambe le parti erano pienamente consapevoli dei vantaggi a cui andavano incontro. Ascolti garantiti, gran fracasso sui media per la trasmissione di Bruno Vespa. Infinita pubblicità gratuita per il libro del figlio del boss. Un cinismo reciproco che nobilita il servizio pubblico. Città Nuova ha raggiunto Vittorio Aliquò, magistrato per 48 anni in Sicilia, che ha partecipato alla cattura di Totò Riina.

 

È riuscito a seguire in tv l’intervista di Bruno Vespa a Salvo Riina?

«L’ho seguita e devo dire che da un lato mi ha indignato, dall’altro mi ha fatto un grande pena. Salvo Riina è un uomo che non ha capito nulla. Conosce la verità dei fatti, che è davanti agli occhi di tutti, e si taglia fuori, da sé, dal mondo della società civile, dalla legalità. Da un lato quando ci si adegua a tutte le nefandezze, non si può avere speranza di cambiamento per la vita sociale; dall’altro cercare di nascondere la verità non può avere nessuna prospettiva di successo».

 

Si tratta di servizio pubblico o solo di intrattenimento?

«Probabilmente per Salvo Riina c’era l’intenzione di propagandare il suo libro, che non leggerò, con il tentativo di giustificare il padre e di presentare un ritratto del tutto falso della mafia. Da parte di Bruno Vespa ci doveva essere più informazione, ma, ognuno nel proprio settore, qualche sbaglio lo compie nel cercare di proporre qualcosa di interessante».

 

Nel corso della sua lunga esperienza da magistrato lei ha parlato con decine di pentiti e anche con lo stesso Totò Riina?

«Pur avendo parlato con decine di pentiti, collaboranti, non ho mai incontrato una persona dall’espressione così dura e impenetrabile come Totò Riina. Ho conosciuto persone che si sono pentite, altre che non si sono volute dissociare, altre che, come il diritto consente, non hanno voluto rispondere alle domande. Eppure ci sono tanti che hanno capito i loro errori, la realtà dei fatti e hanno cambiato il loro atteggiamento, non per evitare la galera, ma nei confronti dei loro figli e della loro famiglia. In Totò Riina non ho mai visto nessun pentimento. Quando lo vidi la prima volta, era stato appena catturato, cercava di instaurare un certo rapporto con tutti e ci porse la mano, ma io mi rifiutai. Non si dà la mano a chi si rifiuta di entrare nella nostra società. Dare la mano significa condividere e con lui non abbiamo niente da condividere».

 

Appare poco plausibile dal racconto di Salvo Riina che non sapesse del padre…

«La moglie di Totò Riina era Ninetta Bagarella. Anche lei apparteneva alla mafia. Il fratello Giuseppe è stato condannato per delitti di mafia. Sapevano tutto o quasi del padre. Non conoscevano tutti i dettagli degli spostamenti della lunga latitanza, ma erano perfettamente consci che era il capo dei capi della mafia. Lo scopo del libro non è solo economico, perché i Riina sono sempre stati molto attenti a questo aspetto, ma perché vogliono giustificare l’operato del padre e diffondere questa visione distorta della mafia».

 

Molti librai in Sicilia si sono rifiutati di distribuire il libro…

«È un dato estremamente positivo della vicenda. L’opinione pubblica ha la possibilità di fare questo tipo di proteste per creare una nuova cultura e i segni di legalità non sono mai troppi».

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