L’umanità che resta dentro la guerra

Breve cronaca di un viaggio in Ucraina, dal 30 marzo al 3 aprile, con la carovana di #Stopthewarnow. Nei luoghi prossimi alla linea rossa del conflitto, tra le ferite di una popolazione che cerca sprazzi di vita normale. L’urgenza di un cessate il fuoco  
Umanità in viaggio Foto rdp

È la quinta volta che parte per l’Ucraina la carovana di #stopthewarnow e stavolta mi sono deciso ad andare anche io.

Nella mia vita professionale mi occupo di coordinamento del personale e del vasto problema della non autosufficienza e del fine vita. Altre volte mi è parso del tutto naturale recarmi in Africa per sostenere progetti di condivisione. Non è un viaggio lungo con l’aereo e così in poche ore ti trovi dentro una realtà di autentica umanità da cui è difficile staccarsi.

Foto Rdp

Stavolta il viaggio avviene su terra e comincia da Padova, praticamente da casa mia. Siamo in 150 persone distribuiti su 25 mezzi diretti ad Est, verso un Paese che vive le conseguenze di un conflitto di lunga durata, fino a ciò che sembrava impossibile accadesse e cioè all’invasione militare russa dell’Ucraina decisa da Putin il 24 febbraio del 2022.

La spinta all’iniziativa della carovana, che coinvolge molte associazioni di vario orientamento, è arrivata dai volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) che già nella prima fase del conflitto hanno deciso di essere presenti a Leopoli, per portare aiuto e condividere le difficoltà di migliaia di sfollati interni che fuggivano dalle zone più colpite dal conflitto.

Foto Luciano Sguotti

Una presenza concreta e operativa che si è poi spostata a Odessa per poi stabilirsi nella città di Mykolaiv, più vicina al fronte.

C’è un clima sereno alla partenza, come viene ripetuto nella conferenza stampa che viene tenuta all’aperto, sulla strada, per dire che non ci rassegniamo alla guerra.

Direzione di marcia verso Odessa Mykolaiv e Kherson. Il tragitto nel cuore dell’Europa dura due giorni, con machine cariche di generi alimentari, generatori elettrici e materiali per l’igiene

Ad Odessa, ci rechiamo al palazzo dei sindacati, teatro della strage di 42 cittadini ucraini filorussi, rimasti uccisi nel 2014 negli scontri tra fazioni opposte culminate con l’incendio e la devastazione della sede dell’organizzazione dei lavoratori.

Qui dove è avvenuto uno dei tragici inneschi della guerra, hanno deciso di stipulare un gemellaggio alcuni rappresentanti dei sindacati ucraini e la delegazione della Cgil che è tra i primi componenti della carovana #Stopthewarnow.

Tappa successiva del nostro viaggio ad Odessa è l’ospedale pediatrico della città dove trasportiamo un grosso generatore di energia elettrica, donato dalla Conferenza episcopale italiana assieme ad altri soggetti privati. Anche qui, il tutto avviene con una cerimonia semplice e allo stesso tempo solenne, con la partecipazione dei rappresentanti della Chiesa cattolica locale, oltre che dell’ospedale.

Foto Luciano Sguotti

Ci spostiamo, poi, a Mykolaiv dove consegniamo tutto il materiale, che abbiamo stipato tra macchine e pulmini, alla Caritas di Odessa-Mykolaiv e alla Youth of Ukhraine, un centro della Chiesa evangelica dedicato al recupero di persone con dipendenza da alcool, droghe e in condizioni di disagio sociale.

I depositi si svuotano rapidamente per raggiungere i quartieri della città. Ci mettiamo accanto ai volontari delle organizzazioni locali a spacchettare e dividere gli aiuti destinati casa per casa, per la consegna predisposta per la domenica delle Palme che quest’anno cade il 2 aprile. Partecipiamo alla messa in una chiesa cattolica di Mykolaiv. Al termine si riesce a fare un collegamento video con il nunzio apostolico della Santa Sede a Kyev e con l’ambasciatore italiano di stanza nella capitale ucraina.

Foto Luciano Sguotti

Nel primo pomeriggio ci colleghiamo via video anche il cardinale Matteo Zuppi, presidente della CEI e arcivescovo della Bologna. Non possiamo che riportare il clima di stanchezza e timore che abbiamo trovato. Pesa l’assenza di segnali dell’annuncio di un “cessate il fuoco” in grado di avviare una fase di serie trattative di pace. Vediamo le conseguenze di una snervante guerra di posizione che vede le città di confine e la regione del Donbass come un teatro di continui avanzamenti e arretramenti di entrambe gli schieramenti militari.

foto Giulio Boschi

È chiaro per noi che la solidarietà e la consegna degli aiuti umanitari non può non associarsi alla necessità di far crescere la cultura della nonviolenza attiva da parte della società europea. Mentre si muovono e affiorano questi pensieri, ecco che l’incontro con i quartieri più periferici della città diventa improvvisamente un momento di festa con canzoni nelle diverse lingue, fino ad un vero e proprio concerto che vede la partecipazione di circa mille persone.

Sono volti feriti non solo dal vivere in un paesaggio costellato da rovine e distruzioni ma dalla sotterranea paura per tutto ciò che può ancora succedere.

Foto Luciano Sguotti

Nelle strade campeggia un’enorme cartellonistica di un’ incessante campagna di chiamata alle armi con immagini di soldati in assetto da guerra e slogan del tipo “trasforma la tua rabbia in un arma”. Si avverte una diffusa volontà di resistenza fondata su una forte identità di popolo e sulla volontà di voler vincere la guerra.

Colpiscono per il loro splendore le cupole dorate delle chiese ortodosse, spesso circondate da filo spinato e cavalli di frisia come forma di protezione da attacchi esterni.

Nei giardini pubblici, accanto al parco giochi, si aprono profonde trincee che servono da secondo avamposto in caso di avanzata russa.   

Foto Luciano Sguotti

Si avverte la mancanza dei giovani richiamati dalla leva coatta e come rassegnati dalla lunghezza di un conflitto che, oltre al pericolo della vita, sta chiedendo il sacrificio dell’astensione dallo studio e dalle prime attività lavorative.

Ci dicono che sono ormai tre anni, tra pandemia e guerra, che i bambini conoscono solo la didattica a distanza che usa i telefoni cellulari e non i computer. Tutto appare fragile e difficile.

 Siamo arrivati a portare il cibo ad un Paese che è il granaio d’Europa, rappresentato dal giallo della bandiera nazionale. I depositi sono sotto attacco e i commerci paralizzati. Vere e proprie carestie possono colpire i Paesi più esposti alla filiera di una produzione cerealicola che rischia la paralisi,

La carovana, dopo 3 giorni, si attrezza per ripatire. Qualcuno di noi cerca di avvicinarsi a Kherson, sulla linea rossa che tuttavia non si può oltrepassare per motivi di prudenza.  Il fronte di guerra è più vicino e diventa un ostacolo anche alla consegna degli aiuti umanitari.

Ucraina foto Luciano Sguotti

Sono qui e penso che sono un “maledetto pacifista”. Mi chiedo seriamente se chi pretende di decidere le sorti del mondo abbia idea del disastro a cui è esposta l’umanità intera.

I cellulari non hanno mai smesso di funzionare, sono riuscito a fare anche una rassegna stampa con le notizie delle manovre strategiche della Cina sul Pacifico e le corrispondenti azioni da parte degli Usa e dei suoi alleati

Su questa linea del fronte che ho davanti, secondo strateghi ed esperti militari, si prevede uno scontro sempre più intenso che sembra inevitabile con la fornitura di armi sempre più sofisticate, di droni, di servizi di intelligence e l’arrivo di truppe regolari e mercenari.

Vogliamo veramente che la storia finisca o continui? Questi interrogativi inquietano tutti e minano sottilmente la credibilità dei governi e delle istituzioni mondiali. Sento ripetere che la pace passa solo attraverso la sconfitta militare e che la politica non può offrire margini per un “cessate il fuoco”. La parola “negoziato” sembra uscita dall’orizzonte pubblico a 60 anni dall’enciclica di Giovanni XXIII, Pacem in terris che Giorgio La Pira definiva “il manifesto del nuovo mondo” mentre ora siamo impantanati a discutere di nuovo sulle teorie delle guerra giusta mentre lo spettro dell’arma nucleare si fa concretamente sempre più vicino.

#stopthewarnow foto GB

È strano, dovrei essere disperato e, invece, con i compagni di viaggio sperimentiamo un senso di leggerezza e di letizia. Ci scambiamo le foto che pullulano di sorrisi. È il segno di una fraternità sperimentata che è segno di speranza? I nostri amici qui in Ucraina ci hanno chiesto di non portare solo aiuti ma uno sprazzo di serenità, di vita normale. Quei canti spontanei, la festa dell’accoglienza, sono il segno di un’umanità che non si arrende.

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