Lo sviluppo secondo Leonardo Boff

L'esponente di punta della teologia della liberazione, in un appuntamento a Udine, precisa i quattro principi e le quattro virtù per un futuro a misura di umanità dove le relazioni, il senso di comunità, la cura della terra devono ritornare al centro degli interessi di tutti
Leonardo Boff

Cinque concetti da rivedere, quattro principi su cui basarsi e quattro virtù da vivere: si è giocata attorno a questi numeri la riflessione del brasiliano Leonardo Boff, esponente di punta della teologia della liberazione, che al Centro Balducci di Zugliano (Udine) è intervenuto sul tema «Il progetto di una nuova umanità». Ad accoglierlo don Pierluigi Di Piazza che, andando al di là delle polemiche sui trascorsi francescani di Boff – che ha lasciato l'abito nel 1992 – ha ricordato come «ogni anno quasi 800 sacerdoti rinunciano al loro ministero: ma la Chiesa istituzione non si interroga, rigettando sulle singole persone questa consapevolezza della fragilità umana».

Il teologo, tra gli estensori della Carta della Terra dell'Unesco, è partito dal chiedersi come «il cristianesimo può essere forza di invenzione per un nuovo futuro: perché, come diceva Einstein, il pensiero che ha generato la crisi non può essere lo stesso che ce ne fa uscire». La sfida attuale sarebbe quindi quella di «avere questa fantasia creatrice per trovare una forma di abitare il mondo, produrre e consumare diversa da quella che negli ultimi 400 anni ha prodotto tante cose buone, ma ora è diventata una macchina di morte».

Per farlo Boff propone di rivedere cinque concetti. Il primo è quello di sviluppo, attualmente «identificato col Pil e la crescita continua», passando «da una concezione quantitativa ad una qualitativa: nella zona andina è radicato il concetto di Bien vivir, con cui si intende l'equilibrio di tutti i fattori – dalla famiglia, alla comunità, alle risorse economiche, alla natura, a Dio stesso – e che è stato incluso anche nelle Costituzioni di Bolivia ed Ecuador come condizione che lo Stato si impegna a garantire».

Il secondo è quello di sostenibilità, «irraggiungibile con il sistema attuale, finché oltre ai diritti umani non prenderemo in considerazione anche quelli della Terra»; quindi quello di ambiente, inteso «come sistema in relazione e comunità di vita»; e di Terra, «non realtà esterna ma essere vivente, tanto che gli antichi la chiamavano madre e la stessa Onu ha approvato tale definizione nel 2010: e se a una madre si deve rispetto, siamo chiamati a ridefinire la nostra relazione con lei». Infine il concetto di essere umano, «non più slegato dalla natura e suo dominatore, ma inserito in essa e responsabile del suo destino».

Di qui i quattro principi per attuare questo cambiamento «di visione, ma soprattutto di cuore», condivisibili da tutti gli esseri umani: prendersi cura della Terra e della vita, «vocazione specifica dell'essere umano»; il rispetto per tutti gli esseri viventi, «che hanno in sé un valore intrinseco, non sono qui a nostro uso e consumo: non dimentichiamo che siamo gli ultimi arrivati sul pianeta»; la responsabilità davanti ad una realtà che «sta diventando pericolosa, perché non conosciamo le conseguenze dei nostri interventi»; e la solidarietà incondizionata, che «manca in una società che si regge solo sul mercato e sulla concorrenza».

Infine le quattro virtù: «L'ospitalità come diritto e come dovere, perché la Terra è di tutti; la convivenza, perché la diversità non diventi disuguaglianza; la tolleranza, come umiltà di accettare queste differenze per arricchirsi; e la commensalità, il mangiare alla stessa tavola, celebrando la generosità della Madre Terra. Perché è inaccettabile che, in un pianeta in cui c'è sovrabbondanza di produzione, 63 milioni di adulti l'anno muoiano di fame».

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