Lo sport dopato

Il caso delle alterazioni dei test antidoping degli atleti russi ha scritto una nuova pagina nera nell’atletica e ha gettato pesanti ombre sulle Olimpiadi e su quelli che credevamo fossero veri campioni
Russia

La possibilità di una clamorosa esclusione della Russia dalle Olimpiadi di Rio 2016 “esiste perché a qualcuno conviene togliere di mezzo un concorrente diretto e ad altri conviene danneggiare l'immagine del paese”: così si è espresso il ministro dello Sport russo Vitali Mutko sul portale Rsport.ru. E’ solo una delle più autorevoli reazioni pubbliche a quello che la stampa sportiva internazionale ha definito come il “lunedì nero” della storia dello sport russo, segnato dalla pesantissima accusa di “doping di Stato”, ad opera della Commissione di Inchiesta dell’Agenzia mondiale antidoping (Wada).

Ad inizio settimana, a Ginevra la Wada ha presentato un agghiacciante report di 323 pagine fitte e dettagliatissime, redatta dopo una indagine durata 11 mesi, che inchioda la Russia a clamorose responsabilità, chiedendo la squalifica per due anni (relativa perciò anche alle Olimpiadi di Rio 2016) della Federazione e la squalifica a vita per cinque atleti, tra cui l'olimpionica Savinova. Un vero e proprio tsunami che rischia di travolgere l’atletica russa ma non solo, dato che la stessa agenzia ha annunciato l’arrivo, nei prossimi due mesi, di altri dossier relativi ad altri paesi, quali Kenia, Etiopia e Turchia.

Secondo il presidente della Wada, Richard Pound si tratta del “più esteso fenomeno di doping e corruzione della storia dello sport moderno”, un vero e proprio sistema criminogeno atto ad alterare migliaia di test antidoping, con la copertura delle più alte istituzioni sportive. L’inchiesta della Wada era nata dalle rivelazioni della tv tedesca Ard: “lo scandalo è più grave di quanto potessimo pensare – ha tuonato Pound – perché scientemente si sono fatti gareggiare atleti che dovevano essere fermati per la loro positività". La Wada menziona espressamente l’esistenza di una “cupola” composta dal presidente della federazione internazionale di atletica leggera (Iaaf), Lamine Diack, e di tecnici a lui vicini, tra cui i due figli, un consigliere economico ed il capo francese dell’antidoping, nonché i vertici politici e quelli dello sport russo.

Tutto in cambio di centinaia di migliaia di euro a testa, pagati ai tecnici dagli atleti trovati positivi sotto forma di tangenti, per non essere cancellati dalla Iaaf, ma non solo: il report accusa il direttore del laboratorio di Mosca, Grigory Rodchenko, di aver distrutto 1417 test per evitare che l’inchiesta potesse scoprire l’enorme truffa l’ordine sarebbe partito direttamente dal ministro Mutko. Nel report viene menzionato anche un “laboratorio-ombra” dove i test venivano controllati prima di approdare all’Antidoping ufficiale russo, cui ovviamente poi arrivavano solo gli esami che non presentavano anomalie. Durante l’Olimpiade di Sochi, i membri dei servizi segreti russi si sarebbero infiltrati nelle strutture antidoping per manipolare i risultati dei test degli atleti connazionali.

Per questo motivo, nel dossier si parla anche di “sabotaggio” dei Giochi Olimpici di Londra 2012 da parte della Russia, dato che quasi tutti atleti saliti sul podio o entrati in finale sarebbero stati dopati. Per la cronaca, la Russia vinse 8 ori, 4 argenti e 5 bronzi nell'atletica, seconda solo agli Usa. “Abbiamo trovato una quantità sconvolgente e incredibile di prove che dimostrano la totale manipolazione dei risultati dei più importante atleti russi degli ultimi dieci anni” sottolinea Pound. “Lo stesso ministro dello Sport russo non poteva non sapere quello che stava succedendo”.

La replica della Russia, affidata allo stesso Vitaly Mutko, fedelissimo di Putin, nega tutte le accuse: “Le conclusioni della commissione non sono sostenute da prove e non contengono fatti nuovi. La Russia non ha mai insabbiato i problemi legati al doping. Se ci sono stati casi di corruzione legati all'uso di sostanze proibite da parte di alcuni atleti, non potevamo esserne a conoscenza prima”. Il presidente dell'agenzia antidoping russa, Nikita Kamayev, ha parlato invece di “un rapporto in fase di bozza e di dichiarazioni senza l'ombra di una prova, tutte accuse al momento prive di fondamento”.

In attesa degli sviluppi delle indagini dell’Interpol, martedì il procuratore di Bolzano, Guido Rispoli, ha ammesso che l’inchiesta Wada “è probabilmente partita” dai documenti che, nell’ambito del caso Schwazer, vennero sequestrati a Giuseppe Fischetto, il medico italiano che gestiva dall’esterno i controlli della Iaaf. Certo, che il debutto del marciatore Sergey Kirdyapkin nel 2005 con la vittoria dei mondiali ad Helsinki fosse coronato tra altissimi e bassissimi, nel 2012 a Londra con l’oro olimpico della 50 chilometri, era parso ad esempio sorprendente.

Valentin Balakhniciov, per oltre 20 anni presidente della Federatletica russa, ha annunciato l'intenzione di ricorrere al Tribunale sportivo di arbitrato a Losanna per difendere gli “interessi personali e del Paese" e il suo successore, Vadim Zelicionok, ha assicurato che “non c'e' corruzione, potendolo giurare sulla Bibbia". Di fronte a così alte accuse ed ancora più alte difese, non resta che attendere lo sviluppo delle indagini su quello che sembra un altro clamoroso intrigo internazionale da chiarire al più presto perché ne va tutta la credibilità del movimento atletico internazionale.

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