L’ Italia è stata considerata un laboratorio politico da diversi studiosi. Nel nostro Paese sono emerse varie anticipazioni interessanti anche per altre Nazioni. È sufficiente pensare al fascismo, al più grande partito comunista dell’Occidente, alla DC, all’ Ulivo, a Forza Italia, Lega e M5S, a varie forme di populismo e sovranismo.
Cerchiamo di capire cosa sta succedendo ora nel nostro Paese. Secondo Massimiliano Panarari, docente di Comunicazione politica alla Luiss, in un articolo su L’Espresso, che, con il Governo Meloni, «gli antisistema sono al potere…L’antiestablishment si fa pertanto establishment…. In un Paese dove la tradizione liberale ha sempre avuto vita problematica, oggi i populisti egemonizzano tanto la maggioranza quanto l’opposizione».
Sembra esserci in Italia un laboratorio, una avanguardia dell’antipolitica e del populismo antiliberale, a suo avviso. Non a caso Steve Bannon aveva indicato l’Italia come avamposto della rivoluzione sovranista.
Il nostro Paese, infatti, di recente costituzione, ha visto rapporti problematici tra classe dirigente, cultura della popolazione, burocrazia e modello liberale. Dopo una serie di governi tecnici, le culture neopopuliste sono ora al governo rivendicando la legittimazione popolare del voto, pur essendo solo la minoranza più organizzata tra gli elettori.
Bisogna riconoscere che la destra ha saputo cavalcare i temi dell’antipolitica, le scorciatoie cognitive della dintermediazione dei corpi intermedi, usare meglio gli strumenti della politica pop. Almeno al pari dei neopopulisti che si dichiaravano ” oltre la destra e la sinistra”.
Sommando FdI, Lega, piccoli partiti no vax, M5S si ottiene un’ampia maggioranza. La destra al Governo ora sta tentando una egemonia culturale con l’introduzione nel discorso pubblico di nuove parole come Nazione, merito, sovranità alimentare, made in Italy.
Nel campo avverso registriamo una confusione grave della sinistra, percepita come forza incapace di realizzare una trasformazione del Paese e la sconfitta della proposta liberale moderata di Luigi Di Maio, oltre al mancato exploit del cosiddetto Terzo Polo.
Sappiamo poi che le forze neopopuliste hanno la tendenza a diventare partiti pigliatutto come avvenuto nel 2018 con il M5S e nel 2022 con la destra a trazione meloniana.
L’antisistema al potere, in altri termini, nel laboratorio Italia.
La crisi della sinistra e del PD in particolare, merita ora una analisi approfondita. La spinta progressista sembra essersi esaurita. Mancano idee e un leader riconosciuto. Crisi di identità. In un intervista a Libero lo storico Giovanni Orsina è giunto a queste conclusioni: «Sono molto sorpreso dall’afasia dell’intellighenzia progressista, dalla debolezza dei loro maîtres a pensée, dalla ripetitività dei loro argomenti, dalla loro sempre più flebile capacità di reazione. È come se fossimo giunti al termine di un ciclo storico, e quel tipo di cultura avesse esaurito la capacità di adeguarsi ai tempi».
È una crisi di astrattezza, di lontananza, salvo i bravi amministratori locali, dal ” mondo vissuto” dei cittadini.
Il PD cerca un segretario ma per quale partito? Chiede Gianfranco Pasquino. Un grande partito deve appassionare i simpatizzanti e trasformarli in iscritti prima, in attivisti poi. Questo non avviene da anni. Un compito abbandonato per un partito del territorio, delle periferie del disagio, non solo dei ceti medi riflessivi nelle Ztl. Lavorare in battaglie concrete con le associazioni del territorio, far crescere una cultura politica popolare. Altro che “disintermediazione “!
Serve un radicamento reale, favorire la crescita sociale e chi ha talento per la rappresentanza politica. Altro che paracadutati che vivono lontani da quelle città! Il Partito Democratico deve decidere quale cultura politica vuole avere insieme ad una visione di futuro.
Si impone ormai una riflessione sul rapporto tra sinistra, popolo e lavoratori. I partiti di sinistra rappresentavano una volta i lavoratori. Ora gli operai, il popolo sembrano relegati al basso in un meccanismo che non li fa incontrare con l’élite. Come afferma Piketty in “Capitale e Ideologia” la sinistra rappresenta i ceti medi riflessivi mentre gli strati popolari votano in maggioranza a destra.
Ci si rivolge ai lavoratori dalla televisione principalmente con interventi calati dall’alto in un rapporto dirigenti-diretti senza partecipazione. Sembra scomparso il dialogo con la base sociale. Manca il processo dal basso verso l’alto, tentato solo con le Agorà democratiche, per affermare una comune cultura popolare.
Per questi motivi è urgente fare un congresso “fondamentale”, come la socialdemocrazia tedesca a Bad Godesberg nel 1959, per “reinventare” il PD, come afferma Pierluigi Castagnetti.
Bisogna rivolgersi ai lavoratori con proposte organiche, rivolte ad un soggetto sociale determinante del progresso dell’intera comunità nazionale. Ad esempio, un progetto di democrazia e partecipazione nelle imprese, sul modello tedesco, dopo la conquista dello Statuto dei lavoratori.
Il popolo non può essere relegato in basso ma deve entrare in un processo circolare di comunicazione politica attraverso i partiti di centro-sinistra, con strumenti di formazione, informazione, partecipazione.
L’elevata astensione ci dice che il voto è considerato un lusso quando le condizioni di vita quotidiana si fanno troppo difficili. Qui si innesca anche un processo storico che penalizza le forze progressiste: la fine delle politiche espansive della spesa pubblica. Si è interrotto il ciclo del dopoguerra “benessere- diritti- libertà“. È un fatto globale.
L’espansione della spesa pubblica per equilibri di bilancio non è più possibile da decenni. Non potendo aumentare la spesa per il welfare va in crisi la politica progressista. La risposta è in una maggiore integrazione politica, economica e sociale europea per una condivisione solidale delle risorse in un mondo globalizzato. La sinistra deve essere portatrice di speranza in un mondo distopico.
Occorre risolvere i problemi del Pianeta non cedendo a visioni apocalittiche. Il ruolo di una sinistra al passo dei tempi è nel collegarsi con la frastagliata galassia dei movimenti ambientalisti e per la pace, trasformando le forti domande di cambiamento in politica.
Come uscire dalla crisi della democrazia rappresentativa e dell’economia nel laboratorio Italia? Innanzitutto bisogna riconoscere le cause strutturali del declino italiano.
È un Paese afflitto da quasi venti anni da bassa produttività, alta evasione fiscale e aumento del debito pubblico, bassa natalità, inefficienza della Pubblica Amministrazione.
Abbiamo un quadro preoccupante se unito a spinte sovraniste illiberali e populiste: Gli squilibri nel mercato del lavoro, l’insufficiente occupazione femminile e dei giovani, corruzione e criminalità organizzata, divario Nord- Sud- aree interne, alta dispersione scolastica, deficit nella formazione del capitale umano, insufficiente autonomia energetica, inadeguatezza della rete infrastrutturale materiale e immateriale, scarsa concorrenza ed infiltrazione di lobby, tempi lunghi della giustizia e carenza di certezza del diritto.
Il Pnrr deve con le riforme strutturali invertire queste tendenze con un processo almeno decennale, fino a rimettere in pista il malato Italia in una Europa unita. Dal laboratorio può uscire un nuovo modello di sviluppo sostenibile ed inclusivo? Sapranno la destra conservatrice e la sinistra progressista trasformarsi in due campi riformisti liberali di stampo europeo, che si legittimano e si alternano al governo?
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