L’impotenza apocalittica di Dio. Sergio Quinzio e il “cristianesimo della fine”

 

 

 

The article presents the core of the reflection of Sergio Quinzio: the impotence of God and the Apocalypse. In the first part, we have pointed out the reasons that led Quinzio to talk about a God without potency. He affirms that the Bible is a tale of a progressive abdication of the potency of Good, which starts from the creation, in which God retires from the world in order to create a space for the creature; and finishes with the incarnations of the Son and his death  on the Cross. Due to this impotence, God has to invoke the apocalypse because only in this way would he save not only men from the death, but also Himself from His weakness. In the second part, we provide Quinzio’s interpretation of Apocalypse. He thinks that it is impotent itself because God can save the world and the human being only by destroying the world. The «Rest of Israel», which will be preserved from the final destruction, will only be saved «just as the shepherd snatches from the lion’s mouth» (Am 3, 12).

L'articolo presenta il nucleo incandescente dell'opera di Sergio Quinzio attraverso i due concetti fondamentali che lo animano: apocalisse e impotenza di Dio. Se quest'ultima denota la debolezza e la sconfitta di Dio – sconfitta perché la Sua promessa non è stata realizzata – la prima indica, seguendo l'etimologia greca del termine, l'uscire dal nascondimento di Dio, il Suo rivelarsi completamente; ma anche – e forse soprattutto –  il riscatto dalla debolezza e dall'impotenza nella quale, ora, Dio è costretto a muoversi. Fortissimo allora il legame tra questi due lemmi in Quinzio, a nostro avviso semanticamente indiscernibili e comprensibili solo se inseriti in una sorta di “circolarità ermeneutica”: impotenza apocalittica di Dio e apocalisse impotente di Dio. La prima parte dell'articolo è dedicata a l'impotentia Dei. Muovendoci dal dato scritturale della rivelazione abbiamo individuato tre momenti che condurrebbero all'abdicazione della potenza di Dio: la creazione del mondo, l'incarnazione del Figlio e la Sua morte in Croce. Subito dopo segue un paragrafo dedicato al problematico rapporto tra cristianesimo e le due “bestie anticristiche” che oggi dominano il mondo: nichilismo e tecnica. Inevitabile a questo proposito un riferimento al pensiero di Emanuele Severino. Abbiamo indicato quindi le interessanti convergenze e gli “incolmabili abissi” tra il filosofo bresciano e il nostro autore. La seconda parte, invece, tratta specificamente il tema dell’apocalisse e presenta, parallelamente a quanto fatto nella prima, la regula fidei “di Quinzio”, la sua interpretazione scritturale. Un'apocalisse che risulterebbe essere, come il Dio del quale sarà rivelazione, impotente: porterebbe salvezza ma non redenzione dal male. Questo insistere sull'impossibile redenzione dal male avvicina Quinzio a una delle espressioni più alte della riflessione apocalittica moderna, Fëdor Dostoevskij. Medesimo il thaùma, il “tremendo meraviglioso” che muove ed agita queste due voci: l'inestinguibilità del male e del dolore. Nel realizzare il confronto abbiamo insistito in particolare su Aljòša Karamazov, dramatis personae di Dostoevskij nel romanzo dedicato alla saga dell'omonima famiglia.

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