L’impero del mercato

I 24 miliardi da recuperare in due anni riusciranno a farci rimanere nell’Eurozona? Ombre nell’operazione di rientro dal deficit che pare troppo influenzata da gruppi di pressione  
Tremonti Giulio

La garanzia di serietà legata alla appartenenza all’Eurozona ha permesso all’Italia di dilazionare in 7,5 anni le scadenze dei suoi 1800 miliardi di debito: nel prossimo anno scadranno titoli “solo” per 275 miliardi e se ne emetteranno per 350, per coprire anche il debito del 2010, pari al 5 per cento del prodotto interno lordo.

 

Grazie all’euro, il costo del debito è stato solo del 4 per cento, 76 miliardi; ma se il mercato “decidesse” che i titoli italiani sono poco affidabili come quelli greci, nel 2011 i nuovi titoli potrebbero arrivare a costarci anche il 7 per cento, 10 miliardi in più il primo anno, 20 il secondo, 30 il terzo e così via. Difficilmente potremmo rimanere nell’eurozona.

 

Come riuscirà una manovra da 24 miliardi in “due anni” a recuperare, in un anno a bassa crescita, i 30 miliardi che servono per tornare al 3 per cento di deficit? Più che i numeri, le società di certificazione guardano se i bilanci sono sostenibili nel tempo. Per questo servono stipendi e produttività dei dipendenti pubblici equiparati a quelli dei privati, una età della pensione in base alla aspettativa di vita, meno costi della politica e lotta alla evasione fiscale ed alla corruzione, equità fiscale.

 

Purtroppo nella manovra solo alcuni provvedimenti vanno in quel senso, non si toccano le rendite finanziarie speculative, non si tassano i consumi di lusso e le emissioni inquinanti, si riducono appena gli stipendi dei politici e di chi oggi è retribuito per servizi civili e di impegno politico che in passato erano volontari.

 

Se questo è invero quanto oggi è “politicamente proponibile”, ciò significa che la nostra democrazia non è quella sognata da chi per essa ha anche sacrificato la vita: essa è diventata una semplice gestione della cosa pubblica secondo gli interessi immediati della maggioranza; in un Paese economicamente sviluppato, non è la minoranza, ma è la maggioranza dei cittadini che gode in qualche modo dei suoi vantaggi.

 

Se non è ispirata da veri statisti che le ricordano la solidarietà, essa è portata ad arroccarsi in difesa del suo privilegio anche se minimo, e dimentica che non si può ignorare a lungo il disagio degli esclusi e la rabbia che potrà scaturire nel nostro caso dai milioni di giovani senza un lavoro stabile o disoccupati che non possono costruirsi quell’avvenire da cui dipende il futuro di tutti.

 

E gli Stati? Hanno tratto vantaggio dalla globalizzazione ma non hanno voluto creare autorità che ne regolino il funzionamento finanziario, temendo di perdere la libertà di gestione dell’economia: oggi, indebitatisi tutti per salvare il sistema, finiscono per obbedire all’“impero mondiale del mercato” che non hanno eletto e che è gestito da una cricca di furbi e potenti predatori, in grado di condizionare i loro rappresentanti. Speriamo che quanto prima i pochi ancora in grado di decidere si uniscano per agire.

 

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