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L’impatto dell’IA su politica e nativi digitali

di Giulio Meazzini

Giulio Meazzini, autore di Città Nuova

Intervista a Barbara Carfagna sulla svolta tecnologica che sta per travolgere la nostra società. I valori e il parametro bellezza

Barbara Carfagna, giornalista e docente universitaria, collabora con la Rai ed il Sole24Ore. Ha un impressionante curriculum professionale, fitto di viaggi come inviata in molti Paesi del mondo, così come di premi giornalistici.

Accetta subito di essere intervistata da Città Nuova. La cosa che più mi colpisce nell’intervista, è la sua previsione che saranno proprio i più giovani, i nativi digitali, quelli più colpiti, quasi “tritati” dall’impatto dell’Intelligenza Artificiale (IA), prima che l’umanità impari a gestire con saggezza questa tecnologia.

Chi è Barbara Carfagna?

Sono nata curiosa, in una famiglia di musicisti. Ho studiato 10 anni di violino e questo mi ha cambiato la testa perché studiare la musica, soprattutto gli strumenti ad arco, crea un rapporto diverso con la conoscenza: impari a sentire le vibrazioni, sviluppi una diversa sensibilità. La musica dà accesso a un altro modo di sentire e questo canale aperto mi ha sempre accompagnato nella vita, insieme a una incredibile curiosità. Il giornalismo mi offre la possibilità di vedere le grandi cose che stanno arrivando. Non sono spaventata dall’Intelligenza Artificiale (IA), anche se penso che il giornalismo compilativo lo faranno le macchine. Invece, proprio usando contemporaneamente 4 o 5 modelli di IA ho le fonti, gli spunti, i punti di vista per poter scrivere meglio il mio pezzo.

Come sei diventata esperta di mondo digitale e tecnologie?

All’inizio ho fatto tanta cronaca nera e giornalismo investigativo. Facevo inchieste di giudiziaria che hanno portato anche a riaprire processi relativi a casi irrisolti. Ho fatto anche molto “esteri”, viaggiando in lungo e in largo nel mondo. Mi interessa anticipare i grandi eventi, cogliere i segnali dei cambiamenti che verranno; la presenza sul luogo è indispensabile per questo. Per esempio, quando ho intercettato la nascita di Boko Haram tra Niger e Nigeria dopo l’11/9 sono partita subito per un reportage che ancora ricordo appassionante. Sono passata al digitale mentre facevo inchieste su casi di cronaca nera: la prova scientifica allora era avversata da una certa parte di criminologia, che odiava il fatto ci fosse un’evidenza che superava la prova regina, la confessione. Cominciai a scoprire le neuroscienze con il caso delle bestie di Satana, quando chiamai a commentare la vicenda non un esorcista, come fece l’accusa in tribunale, ma un neuroscienziato. Pietro Pietrini mi aprì nuove frontiere. Passare dalla scienza al digitale e poi alla tecnologia fu logico: capii che tutto sarebbe cambiato con internet e il web, tutto sarebbe stato re-ontologizzato, cioè a tutto sarebbe stato dato un nuovo significato. L’inizio fu difficilissimo perché vari direttori pensavano che fossi un po’ pazza, credevo che esistesse una “intelligenza artificiale” che avrebbe cambiato il mondo: allora suonava strano.

Cosa ci sta arrivando addosso dal punto di vista tecnologico?

Siamo vicini a un salto evolutivo spinto dall’IA agentica, cioè l’IA autonoma che agisce sulla realtà. Per esempio il Karabakh, zona di guerra per trent’anni, è stato ricostruito alla velocità della luce rispetto ai tempi normali, perché hanno addestrato un modello di IA che poi ha supportato la pianificazione e la gestione. Anche se va detto che poter fare meno errori grazie alla capacità di calcolo mette sotto pressione i decisori: davanti a una probabilità di successo stimata del 90%, quale politico si sentirà di prendere una decisione diversa da quella suggerita dalla IA? Recentemente il Pentagono, la struttura militare degli Usa, ha messo in tasca a milioni di suoi dipendenti un potentissimo strumento di calcolo (Gemini 3 di Google unita a Palantir), capace di fornire valutazioni su cosa fare e come agire ovunque nel mondo. Un mondo che è troppo veloce e complesso per i tempi lenti della politica o dei generali di una volta. La decisione politica a quel punto potrà solo ratificare quello che l’IA ha già scelto, ma non so se questa è la società che vogliamo.

Quindi la politica rischia di perdere il potere (e la responsabilità) delle scelte?

Il politico eletto viaggia ancora cercando il consenso degli elettori, non capisce a fondo, e anzi teme la tecnologia. La quale “decide cosa si può decidere”, scusa il gioco di parole. La vera politica in questo momento la stanno facendo i capi delle aziende tecnologiche. O i leader non democratici, che governano (per ora) assieme alla tecnologia, come nei paesi del Golfo. In Europa abbiamo perso vari treni e ci siamo fatti fuorviare dalle paure nate per l’errore connaturato con la creazione del termine “intelligenza artificiale”, che non è intelligenza in senso umano, è solo capacità di calcolo.

La capacità di calcolo e la scienza non sono democratiche di per sé. Tu devi poter calcolare, ma poi anche poter decidere un’altra cosa. Ci vuole più consapevolezza, che è la ragione per cui alla fine ho scelto di fare la giornalista in questo settore. Credo profondamente nella consapevolezza come leva di cambiamento. Controlli il futuro se lo decidi, cioè lo anticipi grazie all’AI ma nell’anticiparlo lo determini anche. Adesso bisogna che la parte di intelligenza “violinistica” dell’essere umano si faccia in qualche modo sentire, perché la società del futuro che stiamo disegniando sia quella migliore per gli esseri umani, non solo la più efficiente.

Sull’IA rischiamo di fare gli stessi guai che abbiamo fatto con i social?

I guai li abbiamo già fatti, perché negli ultimi 10 anni i decisori non si sono occupati di questo fenomeno emergente. Chi capiva e sollecitava la politica, accademici ed esperti, non è stato ascoltato; la politica non ha voluto cambiare. Solo con la consapevolezza si poteva cercare di cambiare le cose, senza lasciare il potere in mano a pochi tecnocrati come è ora. I nostri valori sono rappresentati da un’Europa che rischia di perdere a breve la sfida di regolamentare l’IA e non abbiamo creato modelli nostri che reggano la competizione. Non abbiamo neanche energia in abbondanza.

Qualcuno sta cercando di formare una élite di persone con quoziente intellettivo superiore, esperti di tecnologia, i cosiddetti neuro-divergenti, che plasmeranno il futuro…

Se ci sarà una classe dirigente che studierà a fondo l’IA, e anche il quantum, [cioè la nuova tecnologia in arrivo, che rappresenta un paradigma diverso dall’IA e anche più potente], non ci sarà bisogno di immaginare solo neuro-divergenti al comando. I neuro-divergenti possono arrivare prima, anche perché privilegiano la coerenza di sistema rispetto al consenso popolare e quindi agiscono in modo più efficiente nella relazione con le macchine; quella parte di sensibilità di cui parlavamo nell’esempio del violino, invece, si relaziona in un altro modo con il calcolo. Per esempio, io non amo fare la giornalista prendendo le informazioni solo dal web o dai diversi sistemi di IA. Devo andare sul posto, con l’intelligenza umana che mi fa conoscere le cose attraverso tutti e cinque i sensi. L’essere umano ha la capacità di estrarre la conoscenza dai suoi sensi. Non si tratta di battere l’AI, come se fosse una gara. Sono due cose diverse.

Per tornare alla domanda, si creerà necessariamente un nuovo sistema politico in cui, come avviene già altrove, i decisori saranno affiancati da sistemi di IA e non avranno più lo stesso potere di prima: se un presidente dovesse prendere una decisione contraria al bene della nazione, il computer lo segnalerà e, come già accade ad esempio a Singapore, sarà costretto a risponderne e rivalutare la decisione prima di attuarla. Oppure gli verrà impedito di attuarla. Se questo sarà un bene o un male dipenderà da come verrà costruito il sistema.

Bisogna vedere se il computer è programmato per impedirglielo… Tu hai scritto che le religioni stanno cercando di incorporare nella IA i loro valori, perché la IA neutra non esiste…

L’IA neutra non può essere al governo, specialmente quella agentica che agisce in autonomia, perché deve invece rispecchiare i valori della comunità. L’efficienza del calcolo ci direbbe ad esempio che i vecchi oltre una certa età non servono a nulla, costano troppo, perciò vanno eliminati. Questo è il pensiero calcolante che va bene per alcune cose ma non per altre. C’è da scommettere che le religioni, alcune lo stanno già facendo, prepareranno dei modelli allineati ai loro valori. HumAIn, il primo chatbot IA [programma informatico che simula le conversazioni con gli utenti umani] è stato sviluppato integrando un LLM [sistema di IA in grado di comprendere e generare linguaggio umano] in arabo, ALLaM, che è progettato per rispettare cultura, storia e valori islamici. Integra nelle risposte i valori di una precisa area culturale e religiosa.

Adesso si può creare un’IA che evangelizzi, attragga e convinca le masse verso i valori di una religione. Puoi aumentare le conversioni, come fanno i mormoni con il loro modello di IA. È una cosa che le religioni hanno sempre fatto con i sermoni orali, poi con la stampa, solo che questa volta sarà estremamente più pervasivo. Più personalizzato. Più profilato su di te, sui tuoi gusti e aspettative. Più convincente, più persuasivo. Chissà cosa ne pensa papa Leone!

Secondo te c’è ancora spazio per chi crede nel dialogo, nel mondo unito, nel bene comune, nella pace, o queste persone sono in via di estinzione?

C’è assolutamente spazio. Bisogna immettere questi valori nelle comunità, nelle quali conviveremo con gli agenti artificiali, altrimenti resta solo una società di “calcolanti” che comandano. Ma puoi creare un altro tipo di valore: per esempio, non lasciar fare il piano regolatore o il disegno architettonico solo all’efficienza dell’IA, ma far entrare dentro questi sistemi anche i desideri della gente attraverso la partecipazione delle popolazioni e non perdere il parametro della bellezza, perdendo però più tempo. Altrimenti l’IA ti ricostruirà pure i villaggi del dopo guerra velocemente, ma poi saranno efficientissimi e brutti. Siamo sulla soglia della costruzione di una società totalmente nuova.

Le prime generazioni rischiano di venire tritate nella fase sperimentale, se non saranno quelle che tengono le redini. I primi nativi digitali forse se la caveranno meno bene, ma poi confido che si possa strutturare un sistema equilibrato, a misura di uomo più macchina. L’alternativa viene dall’estinzione della razza umana: il pauroso calo demografico ci racconta questo. La sostituzione da parte dei robot nelle nostre attività (se saranno ancora tanto efficienti da sopravviverci ed essere necessari a chissà quale sistema) fa parte della fantascienza, a cui qualcuno crede.

 

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