L’economia civile per un Paese da ricostruire

Intervista con Giuseppe Sangiorgi, segretario generale dell’Istituto Luigi Sturzo, tra i promotori del Convegno internazionale del 6 giugno su Antonio Genovesi
Un lavoratore

Piazze e urne semivuote accompagnano la città di Roma verso il ballottaggio delle elezioni comunali, mentre continuano ad arrivare dati inquietanti sulla crescente disoccupazione in Italia che miete ogni giorno le sue vittime. Cosa sta accadendo davvero? Lo stesso giorno dell’investitura del governo di larghe intese LettaAlfano, l’itera area di Palazzo Chigi si è trovata come in stato di guerra per un folle gesto di un muratore calabrese che ha ferito gravemente un carabiniere: rimasto senza famiglia e senza lavoro, oppresso dai debiti accresciuti con il ricorso all’illusione del gioco d’azzardo, voleva sparare ai politici. Ma siamo sicuri che il vero potere, che decide il destino di tutti, abiti ancora quegli eleganti palazzi della Capitale? Se lo è chiesto il Festival dell’economia di Trento che ha avuto come tema la questione della sovranità nazionale messa in crisi da un processo di globalizzazione che richiede nuove risposte.  

È la stessa domanda ineludibile che poniamo a Giuseppe Sangiorgi, segretario generale del prestigioso Istituto Luigi Sturzo che ospiterà ed è tra i promotori del convegno internazionale di studi di giovedì 6 giugno, dedicato alla lezione di Antonio Genovesi, su “Ragioni e sentimenti civili per un’economia e una politica dal volto umano”.

L’Istituto non conserva solo il deposito di una ricca storia del movimento dei cattolici in Italia, ma è come una riserva di ossigeno per chi vuole andare oltre l’orizzonte del contingente per poter pensare in grande. Luigi Sturzo non è stato solo lo scomodo e intraprendente prete siciliano, fondatore di un partito popolare laico e non clericale, ma anche un originale e originale pensatore del sapere sociologico apprezzato a livello internazionale.

Il richiamo, nel convegno, al “volto umano” dell’economia e della politica presuppone l’altro volto conosciuto, quello segnato dai “dèmoni del potere” che intere generazioni di cattolici hanno affrontato a partire dalla coscienza del limite che relativizza ogni pretesa messianica di carattere politico senza perdere, tuttavia, la speranza nella costruzione di un mondo migliore.

Sangiorgi, giornalista e saggista, cita spesso Leone Tolstoj. Ricorda che per il grande scrittore russo, ispiratore della non violenza di Gandhi, tutti i comandamenti si potevano riassumere in uno solo: “non uccidere”. Allo stesso modo, tutti i punti esposti dal governo che si è appena formato si sarebbero potuti concentrare in uno solo: «il lavoro», il fondamento umiliato della nostra Repubblica. Tutto il resto verrebbe di conseguenza. È un tema che scuote il dibattito sociale tra i cattolici italiani. I termini della questione di creare lavoro sono quelli che posero di fronte La Pira, De Gasperi e lo stesso Sturzo.

Con questa urgenza sociale che preme come si pone l’evento dedicato all’economia civile di Antonio Genovesi?
«Come diceva Sturzo la capacità di lavoro di intrapresa è la vera ricchezza degli italiani. Per capire l’economia l’Istituto ha organizzato delle lezioni di economia disponibili sul sito e ha promosso una serie di iniziative con la fondazione Adenauer per riaffermare il fondamento dell’economia sociale di mercato. La serie dei convegni dedicati a Genovesi, da Napoli a Milano passando per Roma, ha l’obiettivo di individuare nuove e più adeguate misure di politica economica. Il 6 giugno il programma del convegno  prevede fra l’altro un momento di confronto aperto tra il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, e quattro esponenti di primo piano del filone di pensiero che alimenta la riscoperta dell’economia civile: Stefano Zamagni, Mauro Magatti, Pierluigi Porta e Luigino Bruni».

Perché è così attuale Genovesi nell’Italia del 2013?  
«Basta leggere il rapporto Istat 2012 sullo stato del Paese: senza la base di un pensiero capace di mettere l’uomo al centro, la situazione economica e sociale non può che peggiorare. E non è vero che le leggi servono a poco rispetto ai processi economici. C’è da cambiare la normativa del codice civile per dare forza alle diffuse realtà del non profit, alla cooperazione e a quella impresa sociale che finora è stata impedita nella crescita. Il vero deficit è quello di una cultura che non sa porsi domande di senso a proposito dei processi economici che stanno arricchendo solo alcuni senza creare benessere collettivo. Senza coniugare profitto e solidarietà. La fine della contrapposizione tra i modelli capitalista e collettivista ha segnato, in tempi diversi, la loro crisi e la necessità di aprire un nuovo ciclo di carattere storico».

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