Le sommosse al Cairo

Come trasmesso da vari notiziari televisivi, la situazione in Egitto sta degenerando creando non poche preoccupazioni sia a livello interno che internazionale
Proteste a piazza Tahrir contro Morsi

Negli ultimi giorni si susseguono le manifestazioni al Cairo, conseguenza delle recenti decisioni del presidente Morsi, che hanno provocato un cambiamento importante nell’opinione pubblica e, soprattutto, polarizzato in modo pericoloso la popolazione. Le recenti decisioni del presidente, infatti, hanno coagulato, da una parte, la corrente dei musulmani moderati e liberali e le minoranze, in particolare i cristiani, settori della società egiziana che non rinunciano all’idea di costruire un Paese laico, democratico e all’insegna della giustizia sociale; dall’altra, hanno cementato la posizione dei Fratelli musulmani e dei salafiti.

Parlando con alcuni residenti al Cairo, ci si rende conto di quanto la situazione sia confusa e tesa e come regni una grande paura. È questo lo sfondo nel quale si susseguono le manifestazioni di piazza che possono degenerare pericolosamente in ogni momento.

Come si ricorderà, negli ultimi dieci giorni due avvenimenti hanno provocato delle reazioni forti in tutto il Paese, ma soprattutto nella metropoli del Cairo. La sostituzione del procuratore generale, Mouhammad Abd el Maguid, con una figura vicina ai Fratelli musulmani, ha messo in evidenza  come il presidente non tenga conto della separazione dei poteri, esecutivo, legislativo e giudiziario. Si è parlato, quindi, di un Morsi che è sulla strada della dittatura e da più parti lo si è cominciato ad accusare di voler ricoprire il ruolo di faraone, nonostante le rassicurazioni che si tratta di una situazione transitoria. Tuttavia, al di là delle dichiarazioni ufficiali da parte di Morsi e del suo ufficio, vari collaboratori diretti hanno ammesso che il presidente ha agito senza previa consultazione.

Un secondo elemento che è stato decisivo nel causare le sommosse popolari è stata la nuova Costituzione, varata senza rispettare i princìpi democratici e con una chiara scelta verso l’applicazione dalla shari'a, come molti, non solo le minoranze cristiane, da tempo temevano. È vero che fra due settimane, il 15 dicembre, si svolgerà un referendum popolare che sembrerebbe voler salvare un’apparenza di democrazia, ma regna il grande sospetto che il risultato sia ormai scontato. C’è da più parti, anche all’interno dell’islam moderato e liberale, la paura che la Carta costituzionale significhi un passo decisivo verso la dittatura di fatto.

Venerdì scorso, nella famosa piazza Tahrir, ci sono state manifestazioni (nella foto) che hanno raccolto una folla composta da persone di tutte le categorie sociali e di varie appartenenze religiose. Sembrava – ci dicono dal Cairo – di essere tornati indietro di due anni. Un’unica differenza: è cambiato il nome del presidente. Si è passati da invettive contro Moubarak a quelle contro Morsi. Il giorno successivo, sabato, sono scesi nelle strade e nelle piazze i sostenitori del presidente. La manifestazione si è conclusa con l’accerchiamento della sede della Corte costituzionale. I magistrati hanno dichiarato di essere sotto pressione ed hanno deciso di sospendere le loro attività in tutto il Paese.

Si profila, quindi, un vero e proprio braccio di ferro, muro contro muro, fra le due posizioni anti e pro-Morsi. Ci si trova in un momento delicato, probabilmente – dicono dal Cairo – decisivo per il futuro del Paese. Oggi, i musulmani moderati e le minoranze, soprattutto i cristiani, temono di finire in una nazione di chiara impostazione islamica. Gli islamisti, dal canto loro, hanno il timore di perdere l’occasione di realizzare il sogno a cui lavorano da decenni: quello di uno Stato, appunto, islamico.

Oggi, martedì 4 dicembre, mi dicono ancora dal Cairo che sono previste grandi manifestazioni contro le recenti decisioni del presidente, accompagnate dallo sciopero della stampa: in segno di protesta i giornali non usciranno e domani i canali televisivi trasmetteranno per tutta la giornata uno schermo nero privo di audio. I giudici, da parte loro, hanno dichiarato che non intendono assumersi la responsabilità di essere garanti del referendum del 15 dicembre. Questo significherebbe che la tornata elettorale sarebbe invalidata.

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