Le parole di Francesco sulla Siria

Dai quattro interventi del papa sul martoriato Paese mediorientale emerge un punto di vista radicalmente diverso rispetto a quello usuale: quello degli innocenti, delle vittime
Profughi siriani nei campi in Libano

Il giorno di Pasqua, nella sua prima Pasqua da vescovo di Roma, papa Francesco invoca la pace «soprattutto per l’amata Siria, per la sua popolazione ferita dal conflitto e per i numerosi profughi che attendono aiuto e consolazione. Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?».

Il 5 giugno, parlando ai partecipanti all’incontro di coordinamento tra gli organismi caritativi cattolici che operano nel contesto della crisi in Siria, entra più direttamente anche nelle possibili soluzioni. Sono i giorni in cui Ban Ki Moon, segretario delle Nazioni Unite, parla di centomila morti in due anni nel conflitto siriano, i giorni in cui sta esplodendo il dramma dei milioni  di profughi siriani negli Stati limitrofi: Libano,Giordania,Turchia, in primo luogo.

In questo discorso il papa cerca di favorire la ricerca di soluzioni politiche al conflitto: «Nelle ultime settimane la comunità internazionale ha ribadito l’intenzione di promuovere iniziative concrete per avviare un dialogo fruttuoso con lo scopo di mettere fine alla guerra. Sono tentativi che vanno sostenuti e che si spera possano condurre alla pace». Ma accanto e dentro la soluzione politica sta l’impegno umanitario nei confronti dei profughi siriani e ancor prima verso la popolazione siriana che vive ancora nel Paese giorni durissimi di ferite e di tragedie.

Il papa indica come lampada all’impegno umanitario la presenza di Cristo in chi soffre: «Sappiamo che dove qualcuno soffre, Cristo è presente. Non possiamo tirarci indietro proprio nelle situazioni di maggior dolore». Dunque nei bambini, nelle donne, negli anziani della Siria è presente Gesù e allora, accanto all’impegno per trovare una soluzione politica, è necessario lo sforzo umanitario, il più forte possibile.

Anzi la ricerca della soluzione politica e l’azione umanitaria sono due facce della stessa medaglia, inerme e disarmata, di una politica della pace. Il papa parla alle associazioni caritative, ma il suo disegno di pace va oltre, in una visione che fa della cooperazione la misura concreta di una prospettiva efficace di riconciliazione.

Il papa conclude: «Il mio pensiero va alle comunità cristiane che abitano la Siria e tutto il Medio Oriente. La Chiesa sostiene quelle membra che oggi sono particolarmente in difficoltà. Esse hanno il grande compito di continuare a rendere presente il cristianesimo nella regione in cui è nato. La partecipazione di tutta la comunità cristiana a questa grande opera di assistenza e di aiuto è un imperativo del momento presente. Tutti pensiamo alla Siria. Quanta sofferenza, quanta povertà, quanto dolore di Gesù che soffre, che è povero, che è cacciato via dalla sua patria. È Gesù! Quello è un mistero, ma è il nostro mistero cristiano. Guardiamo Gesù sofferente negli abitanti dell'amata Siria».

Ecco la chiave per comprendere e agire: nel popolo siriano, che soffre e che muore, è Gesù che soffre e muore. Nei bambini di Aleppo e di Damasco, violati e uccisi dalla violenza omicida, è Gesù che è violato e ucciso… Due settimane dopo, il 20 giugno, il papa, parlando all'assemblea della Riunione delle opere per l’aiuto delle Chiese orientali (Roaco), ritorna nuovamente sulla tragedia della Siria e di nuovo mette insieme impegno di cooperazione e politica di pace. Egli afferma in modo molto netto: «Vorrei rivolgere ancora una volta dal più profondo del mio cuore un appello ai responsabili internazionali, ai credenti di ogni religione e agli uomini e donne di buona volontà, perché si ponga fine ad ogni dolore, ad ogni violenza, ad ogni discriminazione religiosa, culturale e sociale. Lo scontro che semina morte lasci spazio all’incontro e alla riconciliazione, che porta vita».

Il papa non si affida ai princìpi razionali di una antica dottrina, ma guarda alla Siria con gli occhi delle vittime e degli innocenti che sono il segno di Cristo crocifisso al cuore del Medio Oriente. Nel ricordare che Ignazio di Antiochia chiedeva ai cristiani di Roma di pregare per la Chiesa di Siria, il papa comprende e confessa la condizione martiriale della Chiesa e del popolo della Siria. È il martirio del Vangelo della pace, che ha il volto di grandi e piccoli, tutti ostaggi  di una violenza senza fine, che la politica si rifiuta di fermare. Davvero il sangue di Abele è sparso nuovamente, ma il sangue di Cristo, più eloquente di quello di Abele, rischia di essere di nuovo sparso come giudizio di Dio sulla storia violenta degli uomini.
Domenica 25 agosto, il papa di nuovo lancia un appello di fronte al precipitare degli eventi: «Con grande sofferenza  e preoccupazione continuo a seguire la situazione in Siria. L’aumento della violenza in una guerra tra fratelli, con il moltiplicarsi di stragi e atti atroci, che tutti abbiamo potuto vedere anche nelle terribili immagini di questi giorni, mi spinge ancora una volta a levare alta la voce perché si fermi il rumore delle armi. Non è lo scontro che offre prospettive di speranza per risolvere i problemi, ma è la capacità di incontro e di dialogo».

Innanzitutto il papa usa la formula di "guerra tra fratelli". Potrebbe indicare quella che nel gergo politico si definisce una guerra civile, tra parti di uno stesso popolo. Ma la misura indicata dal segretario delle Nazioni Unite di oltre centomila morti, ci spinge a usare la formula di "guerra contro i civili", veri ostaggi di una violenza senza fine.

In realtà la guerra tra fratelli rinvia al mistero di Caino che uccide Abele, la prima di tutte le guerre, ma indica anche un mistero di fraternità che ha in sé la forza di cambiare la storia. Il papa ha davanti le foto dei bambini, che l’opinione pubblica del mondo ha visto, non evita la tragedia, ma indica la chiave per uscirne in una politica di dialogo e di incontro, che rimanda a una cultura della fraternità senza la quale tutto è perduto.

Il papa usa il linguaggio della verità, che ha il volto concreto delle vittime. Non si affida alla retorica della guerra: la guerra umanitaria, azione militare chirurgica, obiettivi mirati. Vuole incrociare il volto doloroso dei bambini che vivono la guerra e  che sono le prime e immediate vittime di ogni bombardamento. Non si arrende alla cultura delle menzogna che alimenta ogni guerra e che è figlia degli interessi più squallidi. Nell’Angelus del 18 agosto, mentre si consuma il trapasso egiziano e si avvicina il punto di non ritorno per la Siria, tocca i temi della pace, della riconciliazione, della violenza e della forza, a indicare la vera fonte delle sue parole, fuori da tatticismi, astuzie umane e politiche.

Dice il papa: «Gesù è la nostra pace, è la nostra riconciliazione! Ma questa pace non è la pace dei sepolcri, non è neutralità. Gesù non porta neutralità, questa pace non è un compromesso a tutti i costi. Seguire Gesù comporta rinunciare al male, all’egoismo, a scegliere il bene, la verità, la giustizia, anche quando ciò richiede sacrificio e rinuncia ai propri interessi».

La pace per papa Francesco è la persona di Gesù, è lui la riconciliazione. Siamo al cuore del Vangelo, non di una dottrina o di una teologia morale, di una diplomazia astuta o di una politica violenta e furba. Il Vangelo e nient’altro viene a noi indicato.

Per questo pone in maniera alternativa la via della fede alla via della violenza: «La parola del Vangelo non autorizza affatto l’uso della forza per diffondere la fede. È proprio il contrario: la vera forza del cristiano è la forza della verità e dell’amore, che comporta la rinuncia a ogni violenza. Fede e violenza sono incompatibili! Fede e violenza sono incompatibili! Invece fede e fortezza vanno insieme. Il cristiano non è violento, ma è forte. E con quale fortezza? Quella della mitezza, la forza della mitezza, la forza dell’amore». Ecco lo sguardo di papa Francesco sulla Siria e sul Medio Oriente. Uno sguardo che permette di uscire dagli inganni e dalla propaganda della guerra, per ritessere il filo d’oro della vita e della fraternità. Non tocca solo al papa ma a tutta la Chiesa universale di condividere l’ora della tribolazione con tutte le Chiese del Medio Oriente e in particolare con i cristiani in Siria.

E in questa ora si è chiamati a testimoniare con coraggio il Vangelo della pace e della mitezza, che può disarmare la politica delle armi e le armi come politica, e può disarmare i cuori prigionieri della violenza e dell’odio. Da questo Vangelo delle vittime, da questa fontana del villaggio può nascere la cultura della fraternità e della riconciliazione come fonte di una nuova convivenza in tutto il Medio Oriente.

Mentre le cancellerie sembrano esibire i muscoli delle armi e della violenza, papa Francesco non si affida alla razionalità di una dottrina, ma cerca lo sguardo degli innocenti. È da questo sguardo dei piccoli crocifissi del Medio Oriente, che egli chiama tutti a ripartire.

Tutti in questi giorni contano il numero delle armi, dei missili, degli aerei, delle navi da guerra, in un calcolo tragico, perché sono numeri che cancellano le persone e rassicurano i potenti. Ci vorrebbero far credere alla ragionevolezza della guerra, alla possibilità di fare presto e bene tutto, nel paradosso che si fa la guerra per evitare la guerra.

Il realismo delle armi è illusorio, perché alimenta l’odio senza limiti in un'area del mondo dove questa malattia non sembra avere alcun medico. Tutti lo comprano e lo vendono al mercato del dolore. Ne sono pieni i palazzi del potere e le piazze dell'ideologia, che lo usano per coprire i fallimenti delle loro scelte.

C’è il realismo del Vangelo, quello che papa Francesco persegue e quello che i cristiani del Medio Oriente cercano di vivere: il realismo della riconciliazione e dell’incontro, della pace e della resistenza disarmata al male.

Non si tratta di essere neutrali o di schierarsi da una parte contro l’altra, ma di vivere semplicemente il patire delle vittime e imparare da loro la follia della guerra e di ogni guerra. Questa è la sua forza, anche se sembra fragile. Questa è la sua sapienza, anche se sembra ingenuo. Ecco la frontiera dell’impossibile, che papa Francesco ci chiama a superare per essere operatori di pace.

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