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Le Alpi senza più “zona fredda”

di Letizia Palmisano

- Fonte: Città Nuova

Il recente record dello zero termico a 5.400 metri sulle Alpi è un campanello d’allarme che non possiamo più ignorare. Non si tratta di una bizzarria del meteo, ma di una febbre alta del Pianeta che i nostri ghiacciai, sentinelle silenziose, registrano con drammatica precisione

Nella foto il ghiacciaio della Marmolada. “Nell’ultimo secolo, i ghiacciai delle Alpi hanno perso il 50% della loro copertura. Di questo 50%, il 70% è sparito negli ultimi 30 anni”. Lo rivela Renato Colucci, glaciologo del Cnr, in una intervista all’ANSA. “I ghiacciai alpini si stanno ritirando a una velocità senza precedenti in migliaia di anni – spiega -. I ghiacciai delle Alpi sotto i 3.500 metri di quota sono destinati a sparire nel giro di 20-30 anni. Le temperature medie degli ultimi 15 anni non ne permettono la sopravvivenza sotto questa quota”. 5 agosto 2019. ANSA/RENATO COLUCCI

Nelle scorse settimane, un dato ha scosso il mondo della climatologia e chiunque abbia a cuore la salute delle nostre montagne: la quota dello zero termico sulle Alpi ha raggiunto i 5.400 metri.

Cosa vuol dire? Proviamo a spiegarlo in maniera semplice e diretta. Immaginate di salire su una montagna. Man mano che salite, l’aria diventa più fredda. Lo “zero termico” è semplicemente l’altitudine ovverosia la quota a cui la temperatura dell’aria arriva a 0 gradi Celsius. Sotto questa quota, la temperatura è superiore a 0°C: fa “caldo” e la pioggia cade liquida mentre la neve si scioglie. Sopra questa quota, la temperatura è inferiore a 0°C: fa “freddo” e l’acqua gela quindi nevica e il ghiaccio non si scioglie.

Questa quota è fondamentale per la salute dei ghiacciai che, per sopravvivere, devono trovarsi al di sopra dello zero termico, al freddo. Se lo zero termico è a 5.400 metri, la “linea del gelo” si è alzata ben al di sopra della cima più alta di tutte le Alpi. In pratica, è come dire che, in quel momento, su tutta la catena alpina, dal punto più basso fino alla vetta del Monte Bianco, la temperatura era superiore a 0 gradi.

La conseguenza è drammatica: nessun ghiacciaio, nemmeno quello più alto e apparentemente inattaccabile, è rimasto al riparo dalla fusione. È come se le Alpi avessero perso la loro “zona fredda”, quel regno del gelo perenne che ne costituisce l’essenza e la riserva idrica.

Eventi come questo, un tempo considerati rarissimi e di breve durata, stanno diventando quasi la normalità nelle nostre estati. Fino a 10-15 anni fa, il superamento dei 4.000 metri per lo zero termico era un’eccezione; oggi valori sopra i 5.000 metri vengono registrati con una frequenza allarmante, sintomo di un’escalation che non accenna a fermarsi.

Meteo o clima? La lezione dei ghiacciai

Di fronte ad un’ondata di calore così intensa, è facile cadere nell’errore di confondere il meteo con il clima. Il meteo descrive le condizioni atmosferiche in un lasso di tempo breve (la pioggia di domani, il sole del weekend, il freddo della prossima settimana) mentre il clima è la sintesi di queste condizioni in un periodo molto lungo, di almeno 30 anni. È la tendenza di fondo, la storia che l’atmosfera ci racconta decennio dopo decennio.

In tale quadro potremmo considerare i ghiacciai come i più grandi narratori del clima. Come recentemente dichiarato del centro studi Italy for Climate, “il ghiaccio racconta il clima, non solo il meteo”. Mentre il telegiornale si occupa del caldo di oggi (il meteo), la massa glaciale che si ritira anno dopo anno racconta decenni di squilibri, di inverni sempre più secchi con poche nevicate e di estati sempre più lunghe e torride. La loro fusione non è un evento, ma un processo. Un singolo record di zero termico è preoccupante, ma è la successione di questi record a confermare che il sistema climatico è malato, come ricordato dal glaciologo Massimo Frezzotti, dell’Università Roma Tre all’Ansa in un’intervista di un paio di anni fa.

Le conseguenze di un gigante che si scioglie

La progressiva scomparsa dei ghiacciai alpini non è solo un danno paesaggistico o un problema per il turismo invernale. Le conseguenze sono profonde e interconnesse e ci toccano molto da vicino anche laddove non abitassimo in montagna o nei pressi.

In primis è fondamentale ricordarci come questi dati debbano essere percepiti come sentinelle di instabilità: il ritiro dei ghiacci rende le montagne più fragili. Il permafrost, il cemento ghiacciato che tiene unite le rocce in alta quota, si degrada aumentando il rischio di crolli e frane, come la tragica vicenda del seracco della Marmolada del 3 luglio 2022 ha drammaticamente dimostrato. Quel giorno, il crollo costò la vita a 11 persone, diventando il simbolo del collasso di un sistema. A partire dal 1905 il ghiacciaio della Marmolada, il più grande delle Dolomiti, ha già perso l’85% del suo volume e potrebbe scomparire del tutto entro il 2040.

I ghiacciai sono immense riserve di acqua dolce che accumulano neve in inverno e la rilasciano gradualmente in estate, alimentando fiumi come il Po, sostenendo l’agricoltura, la produzione di energia idroelettrica e la vita di interi ecosistemi. Con fusioni sempre più anticipate ed inverni poco nevosi, questo meccanismo perfetto si è rotto. Nel 2024, la riserva idrica nevosa nei principali bacini italiani ha subito una riduzione del 36% rispetto alla media degli ultimi anni. Durante le estati siccitose, come quella del 2022, fino al 30% della portata del Po derivava proprio dalla fusione glaciale, un contributo che sta venendo a mancare.

Il gigante che si scioglie è anche un ecosistema che scompare. La ritirata dei ghiacci mette a rischio specie animali e vegetali uniche, specializzate per vivere in ambienti freddi. Piante come l’Artemisia genipi o animali come la pernice bianca e l’ermellino stanno perdendo il loro habitat, spinti sempre più in alto fino a non avere più spazio per sopravvivere.

Un futuro da scrivere, ora

I ghiacciai italiani, oggi ridotti a 872 corpi frammentati e per lo più di piccole dimensioni, hanno perso negli ultimi vent’anni una quantità d’acqua pari a 50 chilometri cubi. A livello globale, la perdita di ghiaccio è la più grande mai registrata dal 1950. I nostri giganti bianchi, che hanno impiegato millenni per formarsi, stanno scomparendo in pochi decenni, lanciando un avvertimento che non possiamo più permetterci di ignorare.

La loro storia, incisa nel ghiaccio che si scioglie, non parla solo di montagne che si sgretolano o di paesaggi che cambiano, ma indica il nostro futuro, la disponibilità di acqua, la sicurezza dei nostri territori e racconta di un equilibrio climatico dal quale dipende la nostra stessa esistenza. La risposta non risiede in teli artificiali per rallentare la fusione, ma in un’azione decisa ed immediata per ridurre le emissioni che alterano il clima.

È l’unica strada per provare a riscrivere il finale di questa storia.

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