Si scrive transizione ecologica ma si può vivere solo come conversione. Non c’è altro modo per attuarla. La transizione si ispira all’ecologia integrale di Laudato si’ di Francesco e coinvolge diverse dimensioni: «è insieme sociale e economica, culturale e istituzionale, individuale e collettiva» (IL 27). Il cambiamento parte dai progetti internazionali (Agenda ONU 2030) e arriva agli stili di vita personali, passando per le scelte politiche, gli investimenti economici e finanziari, l’educazione scolastica, la formazione ecclesiale, la mobilità delle città…
Quando si parla di sostenibilità si pensa troppo spesso a un modello economico e troppo poco a un modello di relazioni. È sostenibile ciò che salvaguarda il vissuto sociale. Già nel lontano 1987, a livello mondiale, il Rapporto Brundtland definiva lo sviluppo come sostenibile quando è in grado di soddisfare «i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future». Dopo più di trent’anni ci rendiamo conto che questa prospettiva è stata profetica ma che ancora fatica a diventare impegno per tutti. Non mancano lentezze, fatiche, miopie, strabismi, superficialità, contrapposizioni, assopimenti, atteggiamenti rinunciatari o fughe nel privato.
Che cosa ci rende umani? Laudato si’ fa riferimento a quattro livelli di relazioni: con Dio, con i fratelli, con il creato, con se stessi. Sostenibile è ciò che favorisce queste relazioni costitutive e che offre prospettive di futuro alle giovani generazioni. Erano proprio necessarie le piazze dei Fridays for future per svegliare le coscienze? Forse sì, ma non mancavano le indicazioni, già presenti sia nel magistero sociale sia nelle trasformazioni socio-ambientali degli ultimi anni.
Il cambio di mentalità
Siamo a un bivio. Ce lo ricorda la Chiesa italiana nel cammino verso la Settimana Sociale. Da una parte, infatti, possiamo assumere le istanze della Laudato si’ e farle diventare scelte culturali che coinvolgono la società, il lavoro, le famiglie. Dall’altra, invece, possiamo continuare come se nulla fosse con i paradigmi dell’antropocentrismo dispotico e tecnocratico, tradendo la dottrina sociale della Chiesa. La prima opzione è d’obbligo. Ecco perché il cammino verso Taranto può rappresentare una svolta. È un punto di non ritorno.
La pandemia ha seminato incertezza. Ha gettato sconforto. Ci ha catapultati nella terza crisi nel giro di vent’anni (dopo quella dell’11 settembre 2001 e quella economica del 2008) mettendo in ginocchio territori e famiglie. Per rialzarsi serve coraggio. Non si esce da una crisi continuando a fare ciò che l’ha causata. Sarebbe follia.
Eppure, la tentazione di procedere fingendo che nulla sia successo, di riaprire tutto come prima, di evitare ogni discernimento per capire cosa mantenere e cosa cambiare, cosa custodire e cosa mandare in soffitta… è dietro l’angolo. Continueremo a pensare la sanità territoriale come Cenerentola? Nel conflitto tra accentramento e prossimità preferiremo sempre la prima in nome di gestioni basate sulla sola efficienza? Ci accontenteremo di tenere il piede in più scarpe, come per l’uso massiccio dei combustibili fossili? Fino a quando dovremo digerire forme di greenwashing che verniciano di verde modelli finanziari vecchi, legati alla logica esclusiva del profitto? Potremo ancora chiamare lavoro la produzione e il commercio di armi che portano solo sangue e morte? Per quanto tempo ancora guarderemo con favore politiche insensibili al grido dei poveri e della terra? Come scrive Laudato si’ 194: «Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro».
Con queste premesse capiamo che non esiste transizione senza autentica conversione culturale. Serve un cambio di mentalità. Per questo papa Francesco richiama a «uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico. (…) Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale» (LS 111).
Un nuovo modello di sviluppo
L’approccio di denuncia ai temi ambientali non basta più. Genera una cultura di contrapposizione, incapace di smuovere gli animi, di fare un salto di qualità per percorrere nuove strade. È necessario uno sguardo contemplativo, un progetto formativo e una spiritualità che aprano a una cultura ecologica. Tutto ciò porta a un nuovo modello di sviluppo, a una visione del progresso «più sano, più umano, più sociale e più integrale» (LS 112). Al centro c’è l’uomo, con le relazioni che lo costituiscono e lo fanno crescere. Questa è la contestazione più seria del paradigma tecnocratico.
La sostenibilità ambientale spesso viene difesa tra contraddizioni difficilmente conciliabili. Si finisce così per impersonare il «visconte dimezzato» di Italo Calvino: c’è gente che sposa la sobrietà quando si parla di cambiamenti climatici ed è paladina del consumismo quando si tratta di posti di lavoro. C’è chi lamenta la sovrappopolazione mondiale a livello globale, soprattutto nei Paesi più poveri, e contemporaneamente invoca la crescita delle nascite a livello locale. C’è chi vorrebbe limitare l’espansione produttiva di Cina e India e, insieme, continua a parlare di crescita economica come criterio risolutivo della crisi europea. C’è chi sponsorizza la misurazione del benessere come nuovo approccio sociale e continua a usare il PIL per la valutazione dell’andamento economico. Che fare davanti a insistenti schizofrenie?
L’approccio culturale trova un metodo infallibile di verifica. Si è sulla strada giusta se si realizza il principio più volte invocato da papa Francesco secondo cui «il tempo è superiore allo spazio». Si tratta cioè di generare processi, innescare percorsi più che abitare spazi e conquistare ambiti di potere. Per farlo occorre mettere al centro le coscienze. Lo stile manipolatorio che spesso contraddistingue l’uomo non favorisce un cambio di passo. Generare processi virtuosi è possibile solo se si formano coscienze, non soltanto attraverso leggi. Livello etico e livello istituzionale devono dialogare tra loro.
Oggi più che mai è necessario intraprendere strade che permettano di uscire dalle contrapposizioni dualistiche del passato: sviluppo o sostenibilità, crisi ambientale o crisi sociale, dimensione globale o livello locale, salute o lavoro, ecologia o economia. Un nuovo pensiero, a partire da LS, porterà ad assumere metodi che tengono insieme, tessono reti, costruiscono connessioni. Vale la pena ricordare le buone pratiche che sono già esperienza in molti territori: amministrazioni, comunità, imprese, famiglie, persone che sono virtuosi nel campo della sostenibilità, dell’economia circolare, della finanza green. Nel cammino verso la Settimana Sociale è previsto il censimento di buone pratiche a livello imprenditoriale, lavorativo, economico, amministrativo, ecclesiale, familiare…
Ci fa bene sapere che qualcuno ha imboccato la strada della transizione giusta: serve a non cadere nel pessimismo cosmico che deprime. Inoltre, queste azioni virtuose aiutano ad avere criteri per discernere nel concreto. Consentono di capire qual è la scelta da fare in nome della giustizia, di riconoscere il valore delle persone, del loro lavoro, del loro investimento umano, dei loro talenti: dal semplice gesto di fare la spesa alle decisioni politiche è possibile costruire un nuovo modello di sviluppo e dare giusto riconoscimento al volto delle persone. Quando il territorio esprime la ricchezza creativa di diverse vocazioni e non si ripiega su una singola realtà, assistiamo a un rifiorire di imprese economiche e sociali.
Questione di tempo
Don Primo Mazzolari scriveva nel 1945 che «forse tante nostre infelicità derivano da questo mancato accordo con la natura, come se noi non fossimo partecipi di essa. Tutto si tiene, ed accettare di vivere in comunione non è una diminuzione, ma una pienezza» (Diario di una primavera). La conversione raggiunge un livello spirituale e relazionale. Senza uno sguardo contemplativo sulla creazione come dono, rischiamo di passare dalla padella alla brace: affrontare temi etici con il solo approccio tecnologico. Sarebbe come illudersi di uscire dalla pandemia con la sola campagna vaccinale. È necessaria e fondamentale, ma non è sufficiente. Serve anche un modo diverso di stare insieme, di vivere il rapporto con il creato, di metterci in gioco nella fraternità.
La transizione ecologica è anche questione di tempo. Non si improvvisa, ma va accompagnata nelle sue fasi. Un po’ come è successo al popolo d’Israele in fuga dall’Egitto verso la liberazione. Il passaggio del Mar Rosso non è stato la fine dei problemi. Anzi. Ha richiesto gradualità e coraggio nell’affrontare le tentazioni. C’è sempre qualcuno che ha nostalgia del passato. Anche perché è facile idealizzare ciò che non è più e dipingerlo con un’aureola che non ha mai avuto.
C’è chi continua a sponsorizzare il modello di sviluppo che ci ha portato sin qui. Un bel giocattolo, se non fosse che ha creato crisi ambientale, sfruttamento di popolazioni, ingiustizie crescenti tra chi è sempre più ricco e chi è calpestato nella sua dignità umana, negazioni vistose della fraternità tra i popoli. D’altro canto, c’è sempre qualcuno che disegna fughe in avanti. Vuole raggiungere la terra promessa senza il cammino intermedio. O senza la fatica di convincere ciascuno che il cambiamento è bene per tutti. Così in campo ambientale si pensa di poter evitare la fatica della condivisione e della pazienza nei confronti di chi ha un passo più lento. L’attraversamento del deserto non è mai facile. È tempo di prova.
Per questo, la stagione che viviamo chiede decisione. Non si possono barattare atteggiamenti consumistici che hanno accresciuto ingiustizie e disuguaglianze con scelte improntate al criterio della fraternità. Non tutto è uguale. Non tutto è opportuno. Non tutto è giusto. Ci sarà un percorso a tappe davanti a noi, ma avvertiamo l’urgenza di intraprendere percorsi di lungo respiro. Resta vero, infatti, che la transizione ecologica o sarà giusta o non sarà. O sarà fraterna o non sarà.
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Contributo al dossier “Conversione ecologica” pubblicato da Città Nuova in vista della 49a Settimana Sociale che la Chiesa italiana che si è tenuta a Taranto dal 21 al 24 ottobre 2021 a partire da questo programma: «Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso».