«La storia siamo noi… Nessuno si senta escluso». Mentre scendo con gli sci l’incantevole Val de Mesdì, nel gruppo di Sella, con i riflessi del sole che scintillano sulla neve fresca, vergine e cristallina, la canzone di Francesco De Gregori, che ascolto in cuffia, mi fa sobbalzare. A Capodanno abbiamo fatto buoni propositi e dispensato auguri. Ma con quanta consapevolezza che un buon anno dipende anche da ciascuno, e che «la storia siamo noi»?
Un saggio di Kapuscinski ha accompagnato le mie vacanze: nel mondo di oggi, spiega, due universi si muovono in direzioni opposte. Uno, caratterizzato dallo sforzo di costruire un mondo più coeso, va verso l’unificazione, verso una globalizzazione a più facce, positive e negative. In direzione opposta si muove l’altro, caratterizzato dalla volontà di mantenere viva la propria specifica identità, che mira a difendere culture e tradizioni.
Uno “scontro di civiltà” di cui siamo solo all’inizio. Per 500 anni noi europei ci siamo sentiti i padroni del mondo, imponendo abitudini, culture, leggi e religione: con la decolonizzazione e con l’accesso su larga scala ai mezzi di comunicazione, oggi altre civiltà pretendono rispetto, chiedono di prendere parte alla condivisione del mondo. Non si può tornare indietro e non si può essere indifferenti. Costruire un mondo interculturale, basato sulla comprensione reciproca, sul rispetto di tradizioni, valori, convinzioni altrui, mettendo freno al nostro orgoglio, non è una possibilità, è un dovere.
Ci è chiesto di vivere l’epoca della mescolanza delle culture e delle civiltà. «Il futuro dell’uomo – scriveva il rimpianto Paolo Giuntella nel suo L’aratro, l’ipod e le stelle – sarà meticcio o non sarà». Non una marmellata religiosa, ma la consapevolezza che «il Padre è unico, ma ciascuno ha il suo cammino verso Dio ed ogni cammino possiede le sue stelle, i suoi frammenti incandescenti di verità, che vanno rispettati ed amati». Don Tonino Bello – che cedeva le stanze del palazzo vescovile a Molfetta a sfrattati, profughi, immigrati, barboni – parlava della Trinità come «convivialità delle differenze» ed invitava a fare altrettanto. Ma ricordava che l’unità nelle differenze si fonda sull’irrinunciabile identità della persona, di ogni persona, e sulla sua incancellabile differenza.
Capiremo che la storia siamo noi? Riusciremo a lasciare una traccia? Un’ultima serpentina e la discesa è finita. Ci voltiamo indietro e mi scappa un sorriso: abbiamo lasciato traccia. La storia siamo noi.