La storia di una “rivoluzione gastronomica”

Presentato a Udine il documentario Slow Food Story di Stefano Sardo: tra immagini di repertorio e interviste, un'avventura locale che si è trasformata in una grande realtà
Agricoltori Slow food

E chi l'ha detto che i giovani mangiano solo al fast food: in barba alla gerontocrazia, il presidente regionale dello Slow Food del Friuli Venezia Giulia, Max Plett, vanta la veneranda età di trent'anni.

È stato lui lo scorso 31 maggio a presentare al cinema Visionario di Udine il documentario Slow Food Story di Stefano Sardo, che racconta la storia del movimento e del suo fondatore, Carlo Petrini. La scelta del luogo non è casuale: «Data la mia giovane età ricevo un'eredità pesante da chi mi ha preceduto – ha esordito Plett – perché alcuni tra i fondatori sono friulani, e il Friuli ha sempre avuto un ruolo cruciale nell'associazione: per questo voglio ringraziare Giorgio Dri, Giulio Colomba ed Emilio Savonitto, che per 25 anni hanno portato avanti Slow Food non solo in regione, ma nel mondo». Accanto a lui c'erano infatti Dri, vicepresidente regionale, e Colomba: due nomi che hanno fatto la storia del movimento, tanto che Colomba e Savonitto sono stati tra i firmatari del manifesto che il 10 dicembre 1989 a Parigi ha ufficialmente costituito Slow Food.

Il documentario raccoglie interviste ad amici di Petrini, compagni d'infanzia, cofondatori e aderenti al movimento, nonché numerose immagini di quegli anni, «che a chi ha una certa età – ha osservato Dri – ricorderanno forse le battaglie per le radio libere o i movimenti universitari seguiti al '68. Immagini forse “imperfette”, ma che hanno il valore della testimonianza». Ne esce così un quadro che dipinge efficacemente l'evoluzione di Slow Food da piccolo gruppo di appassionati del buon vino a Bra ad associazione estesa in 150 Paesi del mondo con quasi 100 mila aderenti, promotrice di manifestazioni come Terra Madre e fondatrice dell'Università di scienze gastronomiche; ma anche una carrellata su tante tematiche – la conservazione della biodiversità, il land grabbing, la tutela dei piccoli produttori – che 25 anni fa forse non erano così sentite, ma che – nelle parole usate sia da Dri che da Colomba – sono ora «patrimonio comune», tanto che Slow Food ha stabilito «un'egemonia culturale in campo alimentare».

Tornando al buon Max e alle nuove generazioni, il nostro fa notare come «l'Italia sia l'unico Paese, insieme all'Olanda, ad avere attivato una rete giovani di Slow Food». E non è soltanto questione della quota associativa scontatissima per gli under 30. «Non è certo una novità che molti giovani stiano riscoprendo settori come l'agricoltura – osserva – magari reinventando l'azienda di famiglia: certo è in qualche misura quasi una moda, ma si tratta comunque di un segnale positivo». Plett è arrivato ad interessarsi del cibo “buono, pulito e giusto” – come da filosofia Slow Food – dopo la scuola alberghiera: «Volevo fare il cuoco – racconta – e poi ho scoperto l'associazione». Con Slow Food ha girato il mondo e ha – per così dire – fatto carriera fino ai vertici regionali. Da ultimo, un invito: «Siamo un gruppo grande ed eterogeneo, e le porte sono aperte: chiunque è il benvenuto».

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