Attenzione a Rembrandt, uno degli artisti più umani e spirituali di sempre. Unisce sapienza pittorica, fede e realismo. La piccola opera del pittore poco più che ventenne con la Cena in Emmaus (1620, Parigi, Musée Jacquemart-André) è un capolavoro di interiorità e di verità che ci scuote. Siamo all’interno di una povera locanda di paese con la donna che lavora in cucina, al focolare, lontana.

Di Rembrandt – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.or
In primo piano un uomo spalanca gli occhi, sbalordito. Ha riconosciuto nel pellegrino il Cristo risorto, crede e non crede: l’impossibile è diventato possibile. Perciò la luce del Risorto, che sta in ombra, lo abbaglia, ci abbaglia. L’altro discepolo è già nell’ombra di Gesù, ombra nell’ombra per troppa luce.
Rembrandt era di madre cattolica, di fede calvinista, perciò l’amore per la Scrittura era in lui così forte che parecchie sue opere sono di soggetto biblico, sofferto e convinto.
Qui il Cristo è luce e la sua luce è così luminosa che sbalordisce, terrorizza ed anche porta a rifugiarsi in lui. L’intimità è fra lui e i due discepoli, non con la cuoca lontana, alla luce del fuoco. Luce fisica e luce divina: Rembrandt distingue.
Davanti al piccolo dipinto, come si usava nelle famiglie olandesi, noi ci troviamo abbacinati ed il silenzio che segue alla sorpresa e allo stupore ci può invadere: l’arte si fa qui pura rivelazione, con i colori ombrati, pastosi, semplici come l’ambientazione. Dio si rivela nella quotidianità e fra la gente che non se l’aspetta, come aveva già capito Caravaggio, morto dieci anni prima.
Molti anni dopo, Rembrandt riprenderà il soggetto nella tavola al Louvre del 1648. Qui il Cristo sarà visibile mentre spezza il pane: dolcissimo, trasumanato nella mirabile veste viola fra i discepoli frastornati e il ragazzo-cameriere intimidito: il lume che dà vita all’ambiente è un raggio divino e umano che rende soavi le ombre. Per il pittore la Cena in Emmaus è il più bel sogno mai realizzato, è la speranza fatta certezza.
La speranza-speranza anima invece la corsa dei due discepoli, Pietro e Giovanni nella tela del 1898 di Eugène Burnand (Parigi, d’Orsay) verso il sepolcro: sarà vero che è risorto?. Dubitano e sperano nello stesso tempo. Giovanni è ansioso e fiducioso, Pietro rugoso è spaventato. Il pittore svizzero dai colori belli dell’aurora – bianco pallido, rosa, viola- è con loro a correre per vedere il prodigio o meglio la sorpresa del Risorto. Come tanti di noi.
Bisogna fermarsi a “leggere” le due opere, a lasciarsene penetrare. Il mistero per svelarsi ha bisogno di tempo e di pace. Da non perdere. Fino al 2/6