La roccia delle credenze sfida il dialogo

Un’antropologa, esperta di bioetica dell’università a Mar del Plata in Argentina esamina le disuguaglianze di genere e le domande della cultura occidentale su questa pratica “aberrante”
«Che orrore! Ma come possono sussistere nel XXI secolo costumi così abberranti?». E’ l’espressione che sorge spontanea dal nostro buon senso quando veniamo a sapere che in diversi paesi centroafricani ed anche in qualche comunità dell’America latina, del Medio Oriente e dell’Oceania si pratica ancora la mutilazione genitale femminile (Mgf).
I flussi migratori provenienti da queste regioni stanno rendendo più visibile in Occidente questo fenomeno, suscitando campagne sociali e politiche per proibire questo uso.

Non se ne conosce con certezza l’origine e anche se, in genere, la si associa con credenze religiose, specificamente islamiche, in realtà é una pratica precedente all’apparizione delle religioni monoteiste. Esistono indizi di essa in mummie egiziane che datano più di 4 mila anni di antichità. Pertanto, si tratta piuttosto di un uso culturalmente radicato e con significati che si comprendono nell’ambito dell’insieme di valori di quelle comunità. E quali sono allora tali significati?

Sebbene esistano differenze a seconda dei gruppi, in genere la Mgf avviene in sistemi patriarcali nei quali é in forte considerazione il valore della purezza, dell’abbondanza e della fertilità associata alla femminilità. Per alcuni popoli, il clitoride é la parte maschile presente nella donna e che può incluso impedirne la fertilità. D’altra parte il piacere sessuale é sinonimo di impuro, e deve essere estirpato per proteggere la fedeltà. Dunque una donna che non é stata mutilata é considerata “sporca” e non viene presa in moglie, e ciò sarà causa di discriminazione per lei e di disonore per la sua famiglia.
Tutto questo si comprende nel contesto di una concezione del corpo umano molto differente dalla nostra, occidentale: il corpo non appartiene a un individuo ma alla comunità, alla quale é intrinsecamente unito. Per questo la comunità prevale sull’individuo, che non riconosce se stesso separato da essa.

L’esistenza di questa pratica presenta dunque un conflitto proprio della globalizzazione: in un mondo multiculturale, nel quale viene privilegiato il rispetto della diversità, la tolleranza, l’apertura alla diversità dobbiamo rispettare anche costumi che, in quanto basati su valori diversi dai nostri, ledono diritti umani fondamentali? D’altra parte dobbiamo anche chiederci se i diritti umani fondamentali dell’individuo sono applicabili a tutti i popoli.

Se questa pratica ci risulta aberrante, dobbiamo domandarci se non lo sarà anche penalizzare le donne che, essendo immigrate, vogliono realizzarla sulle proprie figlie perché credono che altrimenti verrebbero discriminate e sarebbero infelici se non lo fanno?
Il secolo XX ha dato valore al relativismo culturale come modo per frenare gli abusi della dominazione. Ma il secolo XXI ne affronta le limitazioni. Non viviamo isolati gli uni dagli altri e così come vediamo le contraddizioni della nostra propria società, dovremmo vederle anche nelle altre, comprendere il loro valore ma senza rinunciare a una lettura critica delle dominazioni e delle disuguaglianze al loro interno. In questo caso ci troviamo di fronte a una grave problema sanitario, dato che molte bambine rischiano traumi, infezioni, la sterilità e persino la morte. Sarebbe una soluzione lasciare che venga praticata da personale medico nelle condizioni adeguate? Esistono tentativi in tal senso, ma il problema di fondo é un altro: la gf rivela una profonda disuguaglianza di genere e di età, naturalizzata in credenze e riprodotta nella pratica.

 

Ciò nonostante, imporre un cambio forzato non é il modo giusto, come non lo é il rispetto indifferente. Pertanto, la sfida é la seguente: quando si tratta di ottenere una trasformazione culturale, c’é bisogno di ben di più di una legge o di una pena.

Le credenze sono come le rocce, apparentemente immobili e inscalfibili di un solo colpo, eppure il mare le disintegra lentamente col suo costante lavorio. Il dialogo, la comprensione, l’educazione, il rispetto attivo sono componenti di questo mare.

 

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