La preghiera eucaristica di Gesù. Un approccio liturgico al cap. 17 di Giovanni

Un'intuizione: la preghiera sacerdotale come “l'anafora di Gesù”. Un originale contributo di un profondo conoscitore della teologia dei Padri della Chiesa.
La Scaletta di Gerusalemme

Il cap. 17 del Vangelo di Giovanni è uno dei testi fondamentali della rivelazione cristiana. Nel suo genere letterario è la preghiera più lunga che gli evangelisti hanno messo sulle labbra di Cristo. Nella sua posizione strutturale, fa da ponte nel Vangelo di Giovanni fra la Cena di Gesù e l’inizio del racconto della sua passione con l’arresto nell’orto degli ulivi. Si ritrovano in questo lungo capitolo-preghiera gli atteggiamenti più autentici del rapporto che Gesù ha con il Padre e che egli esprime con le forme più caratteristiche della tradizione orante giudaica, ma con il tono di audacia e di tenerezza propri ed originali del Figlio.

Questo testo è stato chiamato “la preghiera sacerdotale di Gesù” per le espressioni di glorificazione e di offerta che in essa si ritrovano. Gesù, infatti, appare nella sua dimensione sacerdotale nell’offrire se stesso per i suoi discepoli e nella sua possente intercessione. È stata definita la “preghiera dell’unità” o “per l’unità”, dato il rilievo che in essa assume la richiesta dell’unità dei discepoli, sul modello stesso dell’unità che il Figlio ha con il Padre. E pure chiamata la preghiera della Cena, perché con essa Giovanni corona il racconto dell’ultima Cena, iniziato nel cap. 13 e prolungato lungo ben cinque capitoli con insegnamenti di grandissimo valore per la vita cristiana. E in qualche modo, per il suo tono accorato, “il testamento di Gesù” o forse meglio “la preghiera del testamento”. Sull’esegesi e la teologia di questa preghiera sono stati scritti tanti saggi autorevoli e scientifici1. Non intendo qui inoltrami in una nuova ricerca scientifica.

La mia proposta di lettura risponde solo ad un’intuizione di carattere liturgico. Da qualche tempo mi avvicino a questa preghiera con la consapevolezza che in essa Giovanni l’evangelista, con il suo tipico stile, ci ha lasciato la “preghiera eucaristica di Gesù”; o per dirla con un linguaggio ancora più orientale “l’anafora di Gesù”, vale a dire quella preghiera che dà senso insieme all’Eucaristia che Gesù ha istituito come memoriale della sua passione, e al sacrificio che sta per compiere sulla croce. Le espressioni oranti di Cristo sono tanto simili a quelle delle nostre preghiere eucaristiche che non sembra fuori posto questa definizione: l’anafora di Gesù.

Fra la Cena e la croce

Il duplice legame con l’Eucaristia e con la passione redentrice, rendono questo lungo brano di Giovanni di un’importanza decisiva, per cogliere il senso profondo dell’istituzione dell’Eucaristia e della passione redentrice. È una specie dì offerta anticipata del sacrificio della croce, ma con la solennità di una preghiera sacerdotale, complessa, ricca; in essa Cristo svela a noi il senso profondo del suo donarsi al Padre per noi nel sacrificio della croce. È come la preghiera che il nostro sacerdote, Cristo, rivolge al Padre per esprimere con una ricchezza inesauribile il senso del suo sacrificio, anticipato anche con i gesti dell’ultima Cena.

Anche se l’evangelista Giovanni non ha incluso nel racconto dell’ultima Cena l’istituzione dell’Eucaristia, è convinzione di alcuni esegeti che tutti i cinque capitoli dell’ultima Cena hanno un carattere tipicamente eucaristico; dalla lavanda dei piedi alla promulgazione del nuovo comandamento, dalla figura della vite e dei tralci alla preghiera dell’unità, tutto ha in questi capitoli un sapore eucaristico. Infatti, in questi insegnamenti Giovanni mette a fuoco il senso profondo dell’Eucaristia vissuta, le conseguenze di una vera vita eucaristica, come un necessario complemento a quanto i Sinottici e Paolo ci hanno rivelato a proposito dell’Eucaristia.

D’altra parte, nel capitolo 17 di Giovanni troviamo una risposta ad una serie di doverose domande: Con quali sentimenti vive Cristo la sua passione? Con quali atteggiamenti egli sta per offrire il suo sacrificio? La preghiera di Gesù spalanca totalmente la sua anima, rivela dal profondo i suoi sentimenti, davanti al Padre e davanti ai suoi discepoli, nell’imminenza della sua passione e morte, che egli vive non solo con assoluta libertà ma come un dono libero e totale della sua vita in sacrificio.

La preghiera del grande rendimento dì grazie

Durante l’istituzione dell’Eucaristia, come ci è stato tramandato dai vari testi dei Sinottici e di Paolo che ci trasmettono i gesti e le parole dell’istituzione, Gesù “benedisse”, “rese grazie” (Mt 26, 26.27; Mc 14, 22.23; Lc 22, 19; 1 Cor 11, 24). Tali testi, però ci ricordano il gesto della benedizione, ma non ci tramandano le parole precise che Gesù avrebbe detto rivolgendosi al Padre.

Si sa come, a questo proposito, le ipotesi degli studiosi sono variegate, secondo la sistemazione dell’ultima Cena nell’ambito di una vera e propria Cena “pasquale” oppure in una Cena di addio.

Che cosa ha detto Gesù “benedicendo” o “rendendo grazie”, avendo nelle sue mani il pane e poi il calice? Forse ha pronunciato le parole rituali che il padre di famiglia che presiedeva la Cena usava, secondo la tradizione, e delle quali abbiamo tracce nella “berakah” dei pasti, o nella grande preghiera della Pasqua?

Forse, Gesù, consapevole del momento che stava vivendo e del gesto che stava per compiere donando il suo corpo ed il suo sangue nel pane e nel vino, ha pregato in maniera del tutto originale, con parole del tutto proprie, indicatrici di quanto egli stava per compiere nella Cena e nella croce. Ritengo più probabile questa ipotesi.

Già san Basilio si esprimeva a questo proposito con un rammarico, alludendo forse al fatto che nessun santo ci aveva conservato queste parole della preghiera del Signore nel benedire il pane ed il calice…: “Le parole dell’epiclesi, al momento della consacrazione del pane dell’Eucaristia e del calice della benedizione, chi è il santo che ce le ha lasciate per iscritto?”2.

Ma abbiamo una grande preghiera di ringraziamento e di benedizione che ben possiamo inserire in questo contesto eucaristico, ed è quanto Giovanni l’Evangelista ci ha conservato in quella preghiera lunga e articolata che è il cap. 17 del suo Vangelo.

Si tratta di una preghiera nella quale volentieri risento un tono eucaristico pieno. Essa rivela la psicologia di Gesù, il suo rapporto intimo con il Padre, i suoi sentimenti con i quali si appresta a donare la sua vita per i suoi, passando da questo mondo al Padre.

Si tratta di una preghiera che riassume quali potevano essere i sentimenti di Cristo nell’istituzione dell’Eucaristia e nella prossimità della sua passione. Una preghiera, ovviamente, riletta da Giovanni, come del resto tutta la passione di Gesù con una particolare visione di vittoria regale e di glorificazione del Padre.

Una preghiera filiale e sacerdotale

La preghiera di Gesù è anzitutto una preghiera filiale, fatta ad alta voce, davanti al Padre e davanti ai discepoli. La dimensione filiale di questa preghiera si manifesta nel fatto che ben sei volte risuona intensa la parola “Padre”(17, L5.ll.2l.24.25); una di esse con la qualifica “Padre Santo” ( 17, 11); un’altra con un’espressione tipica: “Padre giusto” (17, 24).

Si tratta pure di una preghiera nella quale sono coinvolti i discepoli presenti, quasi immessi nello stesso circolo dell’amore trinitario: un dono del Padre a Gesù, un dono di Gesù al Padre, partecipi dello stesso dinamismo di amore (“come” mi hai amato), ancora precario, finché diventerà definitivo nella gloria. E con i discepoli sono anche coinvolti tutti i credenti, lungo i secoli… Nello sguardo di Gesù la preghiera attraversa i secoli e giunge fino a noi.

È preghiera sacerdotale, orazione del mediatore. Gesù si colloca fra il cielo e la terra, con il Padre e con i suoi… Ha un riferimento chiaro all’oblazione del supremo sacrificio. È una preghiera di oblazione di se stesso, Gesù quindi offre un’interpretazione sacerdotale e sacrificale della sua imminente passione, anticipa nella preghiera la sua oblazione futura. È questa preghiera fra la Cena e la croce, come la preghiera del Sommo Sacerdote il giorno dell’espiazione nel “Sancta Sanctorum”, secondo una bella intuizione di Edith Stein3. Questa orazione dà valore alla Cena e alla croce, all’Eucaristia che Gesù ha istituito e alla Croce che n’è il compimento, del corpo dato e del sangue versato.

Gli atteggiamenti della preghiera eucaristica

In questa preghiera, schematicamente e tenendo conto del lessico dei verbi chec esprimono i sentimenti più profondi, possiamo intravedere quattro atteggiamenti fondamentali. Essi sono alla base anche dei grandi atteggiamenti della preghiera eucaristica della Chiesa, della serie di espressioni con le quali il sacerdote, a nome di Cristo e nella sua persona, sotto l’impulso dello Spirito Santo si rivolge al Padre.

Alzando gli occhi al cielo

La preghiera di Gesù inizia con un passaggio dalla parola alla preghiera: “Così parlò Gesù, e alzando gli occhi al cielo disse: Padre…” (Gv 17, 1). Agostino commenta questo passaggio con questa annotazione: “Il Signore unigenito… avrebbe potuto… pregare in silenzio, ma egli volle manifestarsi in atteggiamento di preghiera al Padre, non dimenticando di essere nostro Maestro. Ha voluto farci conoscere l’orazione che per noi rivolse al Padre: i discepoli, infatti, dovevano trovare motivo di edificazione non soltanto nel discorso che un tale maestro ad essi rivolgeva, ma anche nell’orazione per essi rivolta al Padre; è stata un’edificazione per quelli che erano là ad ascoltare e lo è per noi che leggiamo cose che essi hanno scritto”4.

Segue il gesto rituale, proprio della preghiera: alzare gli occhi al cielo. Così ha fatto Gesù nella preghiera rivolta al Padre prima della risurrezione di Lazzaro (Gv 11, 41); così faceva, come affermano i Sinottici in altre occasioni, quando pregava. Stranamente in nessuno dei racconti dell’istituzione figura questo gesto, che probabilmente era anche il gesto rituale della preghiera del padre di famiglia nella benedizione dei pasti. Giovanni è l’unico che in questo contesto ricorda il gesto di Gesù collegato con l’invocazione del Padre.

Eppure, questo sguardo di Gesù rivolto al Padre è passato a far parte integrante di molte preghiere eucaristiche di Oriente e di Occidente, come uno dei gesti che formano parte del racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, ad indicare un certo legame fra la preghiera sacerdotale e la preghiera eucaristica. Così il canone romano, che nelle sue espressioni fondamentali risale al sec. III, fa riferimento al gesto di Gesù di guardare al cielo con l’invocazione diretta al Padre come si trova già in sant’Ambrogio5: “alzando gli occhi al cielo a te, Dio, Padre suo onnipotente…”. L’antichissima anafora delle Costituzioni Apostoliche ricorda: “alzando lo sguardo al cielo, verso di te, Padre suo…”. Con lo sguardo fisso nel Padre Gesù innalza la sua preghiera.

La glorificazione

Gesù glorifica il Padre e chiede di essere glorificato dal Padre. È un atteggiamento tipico della preghiera di benedizione che suppone la riconoscenza, la perfetta conoscenza e la reciproca manifestazione del Padre e del Figlio, la comunicazione della gloria di Dio. Risuona il linguaggio della glorificazione mutua lungo tutta la preghiera (17, 1.4.5.10.22). Una glorificazione che ancora deve essere compiuta nella croce e nella risurrezione… Il Figlio glorifica il Padre, raccontando quello che egli è e quello che egli ha fatto per il Figlio, quello che è avvenuto con i discepoli…

Si tratta di una glorificazione nell’adempimento della sua volontà e del suo disegno… Il Figlio prega glorificando il Padre con un atteggiamento filiale di conoscenza e di riconoscenza, di ringraziamento finale e di benedizione… Il Padre appare come la fonte di ogni bene, da lui vengono tutte le cose, le parole che Gesù ha ricevuto e ha comunicato, la conoscenza che ha trasmesso del suo nome, la rivelazione che egli ha compiuto della paternità di Dio.

La preghiera di ringraziamento e di glorificazione è il primo e fondamentale atteggiamento di ogni preghiera eucaristica, quello che pervade dall’inizio fino alla fine il cuore della Chiesa che ringrazia e glorifica il Padre.

L’offerta sacrificale

Al centro della preghiera di Gesù troviamo oltre la glorificazione l’offerta che egli fa di se stesso al Padre. Il nucleo centrale dell’offerta, che non può non essere riferita alla sua prossima oblazione anticipata nell’istituzione dell’Eucaristia, si trova nelle parole di questo versetto: “Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv 17, 19). Il termine usato da Gesù (aghiazo) ha una tipica connotazione di oblazione sacrificale che non si può capire se non riferita all’oblazione che egli sta per compiere volontariamente e liberamente sulla croce. Frutto di questa oblazione, nella quale il Figlio appare tutto pervaso dal fuoco dello Spirito Santo, sarà il dono stesso di questo Spirito che permetterà ai discepoli di essere anch’essi consacrati ed offerti nella verità.

Questa semplice allusione all’offerta del Calvario rende espressiva e concreta la glorificazione del Padre da parte di Cristo nella sua oblazione di obbedienza e di amore per la salvezza del mondo. La preghiera di glorificazione è allo stesso tempo una preghiera di oblazione.

Anche nella preghiera eucaristica il memoriale è congiunto all’offerta: “celebrando il memoriale ti offriamo”. E l’offerta di Cristo è congiunta con l’offerta della Chiesa. Lo ricorda con precisione e sinteticità Agostino: “Questo è il sacrificio dei cristiani: ‘Pur essendo molti siamo un solo corpo in Cristo’ (Rom 12, 5). E la Chiesa lo rinnova continuamente nel sacramento dell’altare, noto ai fedeli, dove si vede che in ciò che si offre, offre anche se stessa”6.

L’intercessione

Davanti al Padre, Gesù prega per i suoi discepoli. Li inserisce nel circolo della comunione trinitaria. Il dono della glorificazione e il prezzo dell’oblazione hanno come frutto i beni che Gesù chiede al Padre per i suoi discepoli, allargando lo sguardo fino a tutti coloro che per la loro parola crederanno in Lui e conosceranno il Padre.

L’intercessione è una forma di manifestare il frutto stesso dell’oblazione e della glorificazione, è il senso ultimo del sacrificio che sarà offerto ed avrà come frutto una abbondante grazia di redenzione e di santificazione. Giovanni ne mostra tutte le ricchezze.

La supplica si fa intensa e ricca nei beni che il Figlio chiede al Padre. Inizia con queste parole:

“Io prego per loro” (Gv 17, 9) e si esprime in una serie di domande. Chiede al Padre di custodirli nel suo nome ma con uno scopo ancor più grande, come una specie di vertice annunciato e riproposto fino alla fine della preghiera: “perché siano una cosa sola come noi” (17, 11).

Incalzanti sono le suppliche del Figlio: “Non chiedo che li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno (17, 1 5); “consacrali nella verità” (17, 17) partecipi della stessa consacrazione del Figlio (nello Spirito). Abbiano la pienezza della mia gioia…

Il vertice annunciato, il culmine dell’intercessione, si esplicita in una specie di ritorno continuo al centro ed al vertice, al massimo dei beni che possono essere richiesti: “siano in noi una cosa sola”, “siano perfetti nell’unità”(17, 21.22), ma con una prospettiva universale come universale è il dono sacrificale di Gesù, per la salvezza di tutti (17, 20). Gesù chiede la pienezza della vita trinitaria, vissuta da Cristo negli apostoli ed in tutti e fra di loro: “come tu in me ed io in te” (17, 21- 23). Una preghiera che ha la dimensione escatologica di una salvezza nella perenne comunione con il Figlio: “siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria…” (17, 24).

L’intercessione di Gesù è universale, e chiede il massimo, la perfetta comunione trinitaria come frutto e dono dell’offerta di se stesso.

Nella prospettiva della preghiera eucaristica di Gesù, si esplicita il senso che i Sinottici e Paolo danno del sacrificio di Gesù e del dono dell’Eucaristia: offerta sacrificale, sacrificio della nuova alleanza, remissione dei peccati e dono dello Spirito… Tutto è detto con il massimo dell’audacia: frutto della oblazione redentrice di Cristo è la comunione di tutti nella vita trinitaria, in terra e in cielo.

La preghiera eucaristica di Gesù varca i secoli e raggiunge tutti. E nella celebrazione dell’Eucaristia le varie intercessioni per i vivi ed i defunti, con la prospettiva escatologica della salvezza finale per tutti, dei cieli nuovi e della terra nuova, interpretano il desiderio e la preghiera ardente di Cristo: tutti siano tino nella comunione trinitaria!

L’epiclesi o invocazione dello Spirito Santo

Nella preghiera eucaristica dell’ultima Cena, non possiamo dimenticare la presenza dello Spirito Santo. Esplicitamente il suo nome non appare, anche se è presentissimo in altri capitoli di sermoni della Cena. Siamo quindi invitati alla ricerca di qualcuno che apparentemente è assente: lo Spirito Santo.

Certamente possiamo pensare che nella prospettiva trinitaria del Vangelo di Giovanni nella quale lo Spirito discende su Gesù per rimanervi (Gv 1, 33), non possiamo dimenticare che Gesù prega nello Spirito, si offre nello Spirito, intercede nello Spirito. Nello Spirito egli sarà offerto e consacrato al Padre, e per i suoi chiede lo Spirito.

Indirettamente quindi Gesù non solo si manifesta in una preghiera sacerdotale compiuta nello Spirito, ma chiede anche per sé e per i suoi, lo Spirito della consacrazione e dell’offerta.

Ci sono tuttavia due espressioni nelle quali i Padri della Chiesa rintracciano il nome e l’azione dello Spirito Santo. Nel versetto 22 Gesù afferma rivolto al Padre: “E la gloria che hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola”. Di gloria parla anche il versetto seguente: “perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato fin dalla creazione del mondo”.

Nel contesto della preghiera sacerdotale i Padri che cercano l’assente lo trovano nella espressione “doxa”, gloria. Ecco a proposito un bel testo di Gregorio di Nazianzo: “Il vincolo di questa unità è un’autentica gloria. Nessuno, infatti, può negare che lo Spirito Santo sia chiamato ‘gloria’. Dice, infatti, il Signore: ‘La gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro’ (Gv 17, 22). Egli possedette tale gloria sempre, ancora prima che esistesse questo mondo. Nel tempo poi la ricevette quando assunse la natura umana. Da quando questa natura fu glorificata dallo Spirito Santo, tutto ciò che si connette con questa gloria diviene partecipazione dello Spirito Santo. Per questo dice: ‘La gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me perché siano perfetti nell’unità’ (Gv 17, 22-23) Chi raggiunge la maturità del Cristo… diviene partecipe della gloria dello Spirito Santo”7. Con questa prospettiva patristica possiamo intravedere nella preghiera di Gesù l’epiclesi sui discepoli, sulla Chiesa, la promessa di un dono che sulla croce e nel giorno della Risurrezione egli effonde dal suo intimo come dono di comunione trinitaria.

Ma accanto all’espressione dello Spirito come “doxa” abbiamo anche l’altra espressione dello Spirito come amore, “agape”, anzi l’amore con il quale il Padre ha amato il Figlio non può non essere se non lo Spirito Santo. La grande epiclesi della preghiera sacerdotale di Gesù è appunto il dono in pienezza dello Spirito Santo: “Perché l’amore con il quale mi hai amato, sia in essi ed io in loro” (17, 26). È la grande conclusione della preghiera sacerdotale di Gesù, la richiesta del dono più grande, il dono personale dello Spirito Santo; il dono della comunione trinitaria verticale ed orizzontale: unità e comunione con la Trinità che coinvolge la Chiesa intera.

Gesù quindi compie un’epiclesi, un’invocazione al Padre affinché come dono e frutto del suo sacrificio doni il suo Spirito ai discepoli e alla Chiesa, fino alla fine dei tempi.

Anche qui troviamo un tipico atteggiamento che nella preghiera eucaristica della Chiesa chiamiamo epiclesi. Un’epiclesi per la consacrazione dei doni, ed un’epiclesi affinché coloro che comunicano al sacrificio di Cristo, al suo corpo e al suo sangue siano riuniti dallo Spirito Santo in un solo corpo.

Conclusione

Normalmente, la preghiera sacerdotale di Gesù, come è riferita da Giovanni, non viene considerata una fonte della nostra preghiera eucaristica. Tuttavia, attraverso una breve analisi, come quella che abbiamo tentato, possiamo affermare che ha tutto il sapore di un’anafora, la anafora di Gesù, il suo rendimento di grazie, la sua epiclesi, la sua offerta, la sua intercessione in vista del sacrificio imminente, che egli in qualche modo ha anticipato nell’istituzione dell’Eucaristia.

Abbiamo messo in risalto il suo gesto orante e benedicente: gli occhi alzati verso il cielo. Abbiamo colto la ripetuta invocazione del Padre lungo tutta la preghiera ed abbiamo illustrato i sentimenti fondamentali di una preghiera anaforica eucaristica.

Il legame fra l’Eucaristia e l’unità appare in certo modo più esplicito. Nella preghiera sacerdotale emerge tutto il senso dell’Eucaristia, la sua stessa radice orante con gli stessi sentimenti di Cristo, il pieno senso del sacrificio che Gesù sta per offrire al Padre e che egli anticipa con l’istituzione dell’Eucaristia, come memoriale della sua passione gloriosa.

Accanto ai racconti espliciti dei Sinottici dell’istituzione dell’Eucaristia, Giovanni in questo testo ci offre un elemento fondamentale che completa il quadro dell’istituzione, quella preghiera che dà senso compiuto alla passione gloriosa e all’Eucaristia che ne rinnova il memoriale.

 

NOTE

1 Cf. La recente pubblicazione di P. Foresi, La preghiera di Gesù per l’unità, in “Nuova Umanità”, XXIV, maggio-agosto 2004, pp. 341-370.

2 De Spiritu Sancto, 27, 66: PG 32, 188. Così interpretava questo brano di Basilio il benemerito teologo gesuita L. Ligier.

3 La preghiera della Chiesa, Morcelliana, Brescia 1987, pp. 21-23.

4 In Io. ev. tr., 104, 2: PL 35, 1902.

5 De sacramentis, IV, 21.

6 De civ. Dei, X, 6; citato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1372.

7 In Cant. Cant. Hom. 15: PG 44, 1115-1118. Testo citato in un contesto molto ricco circa la teologia dello Spirito Santo come “Gloria” in S. Rinaudo, La liturgia epifania dello Spirito, LDC, Torino 1980, pp. 273-280.

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