La passione di Slava

La prima volta l’ho udito col suo violoncello al Festival delle Nazioni a Città di Castello. Suonava Bach con una grinta, un calore esplosivo, una concentrazione di corpo e anima che sbalordiva.Miloslav, Slava per gli amici, non suonava il violoncello, era questo strumento così simile alla voce umana. Come il grande spagnolo Pablo Casals di cui è stato l’erede più autentico. L’abbiamo visto poi tutti, il giorno della caduta del muro, nell’89, a Berlino estrarre lo strumento – era arrivato in fretta da Parigi – e intonarvi ancora una volta Bach, il musicista dell’eternità, a celebrare le macerie di un sistema che l’aveva costretto all’esilio, per aver ospitato il perseguitato scrittore Solgenitsin. Slava, infatti, aveva un cuore. Non era un artista isolato nel suo mondo interpretativo o nelle logiche carrieristiche. Amava profondamente gli uomini: il concerto davanti al Muro – confessava – era stato un atto di ringraziamento a Dio per aver ridato libertà all’Est europeo. Nel rapporto con gli esseri umani, era di una cordialità affettuosa, espansiva con tutti. Non si sentiva – avrebbe potuto esserlo – un divo. Quando scendeva a Roma a dirigere all’Accademia di Santa Cecilia gli amati Prokofiev o S? ostakovic non si risparmiava nell’esaltarne le sonorità immense, non le addolciva come fanno alcuni, timorosi dell’energia vitalistica del mondo russo. Finito il concerto,scendeva dal podio: uno spettacolo vederlo congratularsi, abbracciare gli orchestrali, cosciente che la musica nasce insieme, non dal supposto carisma di qualcuno. Ho potuto sperimentare la sua invidiabile carica umana, e la gioia di vivere, che scintillava dagli occhi di bambino, durante un’intervista di alcuni anni fa. Parlava a sprazzi, non aveva reticenze su alcun argomento. Ci si sentiva bene, era bello ascoltarne la formidabile competenza musicale, l ‘ e n t u s i a s m o con cui parlava degli autori prediletti ma anche dei giovani musicisti che scrivevano brani appositamente per lui. Cavava dal cuore – come faceva con la bacchetta o l’archetto dello strumento – sentimenti dolci e focosi. L’ho salutato spesso, alla fine dei concerti. Mi metteva la mano grande sulla spalla, ci si guardava con affetto. Musica e umanità per lui erano una cosa sola.

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