L’arrivo del COVID-19 e le misure stabilite per prevenire la diffusione del virus sembrano aver portato a un aumento del numero di disturbi del comportamento alimentare (DCA) nella popolazione. Questo è quanto indicano vari rapporti, indagini e analisi di associazioni e specialisti a livello nazionale e internazionale su prime visite e ricoveri. Eduard Serrano Troncoso, dottore in psicologia e coordinatore dell’Unità di Disturbi del Comportamento Alimentare (UTCA) nell’Area di Salute Mentale dell’Ospedale Sant Joan de Déu di Barcellona affronta questo tema nella tavola rotonda su COVID-19 e i disturbi alimentari. L’esperto spiega che, nell’ambito della salute mentale, questo è un settore che è stato particolarmente colpito dal COVID-19 e dalle misure di salute pubblica a seguito della pandemia: «Dopo questi mesi, possiamo affermare categoricamente che questa crisi ha avuto un impatto molto negativo e significativo su queste persone in tutto il mondo».
Lo specialista sottolinea che «diversi studi ci parlano della percentuale di peggioramento di questi pazienti, e lo vediamo anche nell’aumento dei ricoveri e delle prime visite». Così, indica che, anche se queste misure «hanno avuto un impatto sulla popolazione generale con l’incremento dell’ansia e della depressione», gli effetti sono stati ancora più notevoli tra le persone con una precedente patologia mentale. «Per le persone con un DCA attivo, è stato un fattore precipitante, un fattore scatenante per il peggioramento dei sintomi alimentari. D’altra parte, per quelli con stabilità asintomatica, è stato un fattore di rischio per la ricaduta». Inoltre, il confinamento ha anche favorito lo sviluppo di nuovi casi.
Secondo la nutrizionista Belén Serrano, ci sono numerosi fattori che possono essere coinvolti in questo aumento: «Si ritiene che un DCA possa essere innescato da sentimenti di solitudine e angoscia dopo un disastro, da un disturbo da stress post-traumatico (PTSD), dall’ansia e la depressione…». Serrano sottolinea anche che «è stato anche associato con un maggior uso dei social network, con problemi di regolazione emotiva o con la paura del contagio, la qual cosa può riflettersi in comportamenti alimentari alterati e nell’allontanamento sociale».
L’esperta approfondisce cosa significa avere un DCA: «Le tue preoccupazioni ruotano intorno al cibo, al peso e al tuo corpo praticamente tutto il tempo, lasciando poco spazio ad altre aree della tua vita. Quindi, influisce praticamente su tutto. La vita sociale diminuisce a causa della paura di mangiare fuori, di essere giudicati o di mostrare il proprio corpo. D’altra parte, anche il rendimento accademico cala, anche se nelle persone molto perfezioniste, di solito con anoressia, a volte il rendimento è ancora molto alto». Allo stesso modo, sottolinea la nutrizionista, «il rapporto con la famiglia peggiora. Bisogna notare che alcune situazioni familiari possono essere legate alla comparsa di un DCA».
Per prevenire l’insorgere di un DCA o di un cattivo rapporto con il cibo e il proprio corpo, il campo della nutrizione e della psicologia offre diversi consigli. A questo proposito, l’Associazione contro l’anoressia e la bulimia (ACAB) sottolinea il ruolo chiave della famiglia, che «può diventare un modello molto potente di abitudini e stili di vita sani» dato che «la trasmissione, da questa istituzione, dell’importanza di mantenere una dieta equilibrata e non basare l’autostima sull’aspetto fisico, può rafforzare l’autostima dei figli e proteggerli dalla sofferenza di un disturbo alimentare».
Quando si tratta di identificare se una persona ha un rapporto problematico con il cibo, Belén Serrano sottolinea che, nella maggior parte delle occasioni, «viene rilevato da qualcuno nell’ambiente, non dalla persona stessa, perché di solito c’è un auto-inganno per non considerarlo un problema, in modo che possa continuare a esistere». Tra i comportamenti che possono metterci in allarme, l’esperta include: «seguire costantemente diete molto restrittive, preoccupazione costante per il cibo, senso di colpa dopo aver mangiato, andare in bagno dopo aver mangiato (che può indicare la purga), evitare i pasti sociali, trovare cibo nascosto, paura esagerata di essere in sovrappeso, esercizio fisico compulsivo, amenorrea, isolamento, sintomi depressivi o ansia…». Nonostante ciò, sottolinea che questi non sono «criteri diagnostici, ma sì cose che possiamo riconoscere e che possono indicare il sospetto». Come spiegato da ACAB, anche se chi osserva la persona affetta da un disturbo alimentare vede inizialmente un’alterazione dell’alimentazione e del peso, l’origine è sempre psicologica. Per esempio: bassa autostima, tendenza al perfezionismo estremo o all’impulsività o idee sopravvalutate sul corpo e sulla figura, ecc.
Riguardo a come agire se sospettiamo che qualcuno possa trovarsi in questa situazione, Belén Serrano sottolinea che dovremmo «parlare con quella persona senza giudizio, stigma o rimprovero, farle sapere che può contare su di te e, soprattutto, incoraggiarla a chiedere un aiuto professionale». In questo senso, da ACAB precisano la necessità di andare alle cure primarie in caso di rilevamento di “comportamenti potenzialmente pericolosi”. Come indica l’associazione, anche se questi disturbi sono “malattie mentali gravi”, la loro prognosi migliora «nella misura in cui vengono rilevati e trattati precocemente».
Per un migliore rapporto con il cibo, Serrano ci ricorda che: «la salute non implica soltanto la salute fisica, ma ci sono tre componenti: salute fisica, salute mentale e salute sociale. Tutti e tre sono ugualmente importanti e devono essere in equilibrio per garantire il benessere. Sacrificare la salute mentale e sociale per il bene della salute fisica non ne vale la pena. Lasciamo spazio alla flessibilità e prendiamoci cura di noi stessi in tutte le nostre variazioni».
Associazioni in Spagna specializzate in questo tipo di disturbi: https://feacab.org/asociaciones-feacab/
Los casos de trastornos de la conducta alimentaria aumentan tras la pandemia
El pasado 30 de noviembre, con motivo del Día Internacional de la Lucha contra este tipo de problemas, diversas asociaciones manifestaron su preocupación ante el notable incremento de casos
La llegada del COVID-19 y las medidas para evitar la propagación del virus parecen haber supuesto un aumento del número de trastornos de la conducta alimentaria (TCAs) en la población. Esto es lo que señalan distintos informes, encuestas y análisis de primeras visitas e ingresos de asociaciones y especialistas a nivel nacional e internacional. Eduard Serrano Troncoso, Doctor en Psicología y Coordinador de la Unidad de Trastornos de la Conducta Alimentaria (UTCA) en el Área de Salud Mental del Hospital Sant Joan de Déu de Barcelona aborda este tema en la mesa redonda sobre COVID-19 y trastornos de la conducta alimentaria. El experto explica que, dentro del área de la salud mental, este es un colectivo al que ha afectado especialmente la COVID-19 y las medidas de salud pública a raíz de la pandemia: “Después de estos meses, podemos afirmar con rotundidad que esta crisis ha tenido un impacto muy negativo y significativo para estas personas a nivel mundial”.
El especialista señala que “diferentes estudios nos hablan del porcentaje de empeoramiento de estos pacientes, y nosotros también lo vemos en el aumento de ingresos y primeras visitas”. Así, apunta que, aunque estas medidas “han impactado en la población general con un aumento de la ansiedad y depresión”, esto ha tenido efectos si cabe más considerables para las personas con patología mental previa. “Para las personas con un TCA activo ha sido un factor precipitante, desencadenante para empeorar los síntomas alimentarios. Por otro lado, para aquellas con estabilidad asintomática ha sido un factor de riesgo de recaída”. Además, el confinamiento también ha favorecido el desarrollo de nuevos casos.
Según la nutricionista Belén Serrano, hay numerosos factores que pueden estar implicados en este aumento: “Se cree que un TCA puede ser desencadenado por sensación de soledad y angustia después de un desastre, por estrés postraumático (TEPT), como consecuencia de ansiedad y depresión…”. Asimismo, señala que “se ha asociado además a un mayor uso de redes sociales, problemas de regulación emocional, o miedo a contagiarse, que puede reflejarse en conductas alimentarias alteradas y por el distanciamiento social.”
La especialista ahonda en qué implica tener un TCA: “Tus preocupaciones giran en torno a la comida, el peso y el cuerpo prácticamente todo el tiempo, y deja poco espacio para otras áreas de tu vida. Así que afecta a prácticamente todo. La vida social disminuye, por el miedo a salir a comer fuera, a ser juzgado o a mostrar tu cuerpo. Por otro lado, el rendimiento académico también baja, aunque en personas muy perfeccionistas, normalmente con anorexia, a veces el rendimiento sigue siendo muy alto.” Asimismo, señala la nutricionista “la relación con la familia empeora. Hay que resaltar que algunas situaciones familiares pueden estar relacionadas con la aparición de un TCA”.
Para prevenir la aparición de un TCA o una mala relación con la comida y el propio cuerpo, desde el ámbito de la nutrición y la psicología se aportan diferentes consejos. En este sentido, la Asociación contra la Anorexia y la Bulimia (ACAB) señala el papel clave de de la familia, que “puede convertirse en un modelo muy potente de hábitos y estilo de vida saludables” ya que “la transmisión, desde esta institución, de la importancia de mantener una alimentación equilibrada y de no basar la autoestima en el aspecto físico, puede reforzar la autoestima de los hijos y protegerlos de sufrir un trastorno de la conducta alimentaria.”
A la hora de identificar que una persona tiene una relación problemática con la comida, Belén Serrano señala que, en la mayoría de las ocasiones “lo suele detectar alguien del entorno, no la propia persona, porque normalmente hay un autoengaño para no considerarlo un problema y que se pueda seguir manteniendo”. Entre las conductas que encontramos que pueden alertarnos, la experta incluye: “seguir constantemente dietas muy restrictivas, preocupación constante por la comida, culpabilidad después de haber comido, ir al baño después de comer (puede indicar que hay purgas), evitar comidas sociales, encontrar comida escondida, miedo exagerado al sobrepeso, ejercicio físico de manera compulsiva, amenorrea, aislamiento, síntomas depresivos o ansiedad…”. Aun así, señala que esto no son “criterios diagnósticos, pero sí son cosas que podemos detectar que pueden indicar sospecha”. Y es que, como se explica desde ACAB, aunque las personas que observan a la persona enferma ven inicialmente una alteración alimentaria y de peso, el origen es siempre psicológico. Por ejemplo: baja autoestima, tendencia al perfeccionismo extremo o a la impulsividad o ideas sobrevaloradas en torno al cuerpo y la silueta, etc.,
Respecto a cómo actuar si sospechamos que alguien puede estar en esta situación, Belén Serrano apunta que se debería “hablar con esa persona sin juicio, estigma o reproche, hacerle saber que puede contar contigo y, sobre todo, animarle a pedir ayuda profesional.” En este sentido, desde ACAB apuntan la necesidad de acudir a atención primaria, en caso de detectar “comportamientos potencialmente peligrosos”. Y es que, como se apunta desde la asociación, si bien estos trastornos son “enfermedades mentales graves”, su pronóstico mejora “en la medida en que se detectan y tratan precozmente”.
Por su parte, para una mejor relación con la comida, Serrano recuerda que: “la salud no hace referencia únicamente a la salud física, sino que hay tres componentes: salud física, salud mental y salud social. Las tres son igual de importantes y deben estar en equilibrio para poder garantizar el bienestar. Sacrificar la salud mental y social por conseguir algo físico, no merece la pena. Dejemos espacio a la flexibilidad y cuidémonos en todas nuestras variantes”.
Asociaciones del Estado español especializadas en este tipo de trastornos: https://feacab.org/asociaciones-feacab/