Il carisma dell’unità mi pare di poter dire che si basi su binomi. Per i rapporti tra i membri: Individuo – Comunità, Libertà – Obbedienza, Unità – Distinzione, Unità – Trinità, Solitudine – Fraternità. Per la vita cristiana: Scelta di Dio solo – Primato del fratello, Solitudine – Fraternità, Castello interiore – Castello esteriore, Silenzio – Parola, Rapporto con Dio – Comunione fraterna. Per la vita apostolica: Dialogo – Evangelizzazione, Farsi uno – Verità, Profezia del mondo unito – Realtà cruda, L’Opera non cerca nulla per sé ma tutto per gli altri – L’Opera deve attuare lo Statuto, le sue linee di vita.
Questo poggiare su due termini apparentemente contraddittori non rende facile oggi camminare spediti. Rischiamo sempre di preferire uno o l’altro e di assolutizzarlo. A me sembra che Chiara Lubich abbia sempre tenuto insieme i due termini di questi binomi. E quando per qualche motivo contingente sembra aver privilegiato uno di essi, in altri momenti insiste sull’altro. Come per dirci: dobbiamo saper stare in tutti e due, nell’interferenza.
Lo sforzo di oggi mi sembra consista nel comprendere i termini di questi binomi come legati tra loro: non sono da opporre, non c’è un termine da privilegiare. C’è circolarità, mutua appartenenza, pericoresi. Non polarizzazione. Sarà lo Spirito Santo, l’Amore in Dio-UniTrinità, che ci farà trovare, nell’oggi della vita, il legame tra essi. E lo Spirito Santo ci darà non una vita tranquilla, ma la pienezza della libertà dei figli di Dio. «Lo Spirito Santo è il porro unum», scrive Chiara il 25 luglio 1949, è «l’unica cosa necessaria» (cf. Lc 10, 42), Egli che unisce i contrari.
Tutto questo ci rimanda al binomio-cuore del carisma: Gesù abbandonato – Unità, Gesù abbandonato – Risorto. L’abbiamo sentito dire da Chiara mille volte: non c’è unità – nel suo significato di gioia, pace, pienezza, rinascita – senza amore per Gesù crocifisso e abbandonato. Tale affermazione ha per fondamento biblico, tra l’altro, Paolo ai Romani: «Essere “con-morti” con Cristo per essere con lui “con-risorti”» (cf. Rm 6, 5).
Chiara ha sperimentato in prima persona che nell’abbracciarLo in ogni dolore fisico e spirituale, in ogni “disunità”, si fa un’esperienza sorprendente, di salvezza e risurrezione. È Gesù abbandonato-Risorto che ci dona lo Spirito Santo, il nostro porro unum. In Lui, dal quale zampilla lo Spirito, gli opposti si riconciliano. E sempre nel luglio 1949 scriverà: «Basta lo Spirito Santo (e la fedeltà a chi ha iniziato) per proseguire l’Opera».
Cosa significa per noi? Che siamo nel tempo e viviamo una realtà alla volta, a volte in polarizzazione con un’altra. Bisogna invece imparare a non privilegiare un termine, ma stare nell’equilibrio. Reinnamorarci di Gesù abbandonato che unisce i contrari. Questo richiede una kenosi [svuotamento] della mente che vorrebbe la sintesi, la “parola” unica, facile. E anche una kenosi del cuore che non s’impossessa spontaneamente di ciò che gli fa male. Questa kenosi, questa situazione scomoda che ci fa tenere presenti i due termini del binomio e dire “mio” ciò che mi fa male per amore dell’Abbandonato, è una grazia. Non abbiamo un’assicurazione sulla vita, dobbiamo camminare dietro a Cristo nell’attimo presente: questa “scomodità” ci permette di vivere di fede.
Una sfida affascinante, questa scomodità permanente. Solo così siamo “credenti”, siamo “seguaci”, e portiamo la luce Sua e non la nostra. «Lascia a chi ti segue solo il Vangelo»: il Vangelo che Chiara ci ha lasciato è seguire Cristo, essere credenti, rivivere il suo mistero pasquale, vivere da risorti. In una parola il nostro carisma è: Gesù Cristo. «L’ideale è Gesù», diceva Chiara in uno splendido discorso inedito del 1957.
Per comprendere chi siamo, abbiamo la nostra storia, la Storia dell’Ideale, da rivivere attualizzandola. Ma abbiamo anche un’altra storia, dolorosa e gloriosa, quella dei 16 anni in cui la Chiesa ci ha studiato, raddrizzato, a volte rinnegato, 16 anni in cui siamo passati dagli Osanna ai Crucifige, vissuti da Chiara e dalle prime e dai primi con un amore folle per Gesù abbandonato! Questa storia fa parte del nostro DNA. Ci ha segnato e continua a segnarci. È la nostra storia gloriosa. Non ci lamentiamo, anzi godiamo di poterla rivivere oggi, in un contesto diverso, ma nella stessa fede per il Figlio di Dio che [ci] ha amato e ha dato se stesso per [noi] (cf. Ga 2, 20).