La musica nella pittura

Quattro secoli di arte veneta da Bergamo a Roma in ottanta opere.
Chiostro del Bramante

Se c’è una qualità che rende la pittura veneta originale e assolutamente unica è quella del colore. Ma poche volte si pensa che la qualità di questo colore, e della luce che lo rende vivo, è la capacità di essere “musicale”. Non solo perché il tema del “Concerto” nato ai primi del ‘500 scorre attraverso capolavori assoluti, come appunto i concerti di un Giorgione, di un Tiziano o di un Palma, ma perchè l’accordo che la luce, sempre pura, trova con i “toni” delle tinte, l’armonia che vi genera, rende ogni tavola o tela un vero e proprio “concerto di forme e di colori”. Priva della plasticità toscana, del gusto surreale dei ferraresi, della floridezza emiliana, l’arte “veneta” si esprime in ondate musicali dal quattrocento al settecento, rinnovandosi ogni volta e suggerendo nuove armonie, fino a preludere addirittura all’impressionismo.

La mostra, oggi a Roma, ripropone i pezzi migliori dell’Accademia Carrara di Bergamo, chiusa per restauri fino al 2013 e quindi “itinerante” per l’Italia  e il mondo per esporre i suoi maestri “veneti”. Per secoli, infatti, Bergamo è stata sotto il dominio della Serenissima e i pittori sono emigrati da Venezia fino alla città orobica, come il Lotto, o da essa si sono stabiliti nella capitale,come il Palma. Tra laguna e terraferma l’interscambio è stato continuo e fecondo, aprendosi anche alle suggestioni dell’Europa del nord come dimostrano i contatti con Durer o Bosch. Raramente una civiltà pittorica ha avuto una vivacità creativa e comunicativa così costante e fruttuosa come quella veneta.

 

E passiamo ad un rapido sguardo ad alcune delle opere esposte, che permettono di seguire l’intero arco di quest’arte. La Madonna col bambino di Jacopo Bellini (1440) si apre sul davanzale con colori di rosa sullo sfondo fiorito, come le madonne dell’umiltà della tradizione tardogotica, ed è una musica tenue, sussurrata; come il Ritratto di Lionello d’Este del Pisanello: un mondo incantato di fiori, di perle, di colori mai vibranti. Il primo Quattrocento veneto inizia con un colore delicato, aurorale. Tocca al figlio di Jacopo, Giovanni, con una Madonna col bambino (1476), segnare un’altra tappa del percorso, regalando una Vergine più umana, protettiva verso il figlio, secondo una calda sensibilità per gli affetti, sempre misurata, cara al grande artista.

 

Nel 1500 questa sensibilità per l’animo umano trova un interprete di razza in Lorenzo Lotto, il cui Ritratto di giovane ignoto, ci presenta in primissimo piano un ragazzo biondo, vestito di nero. La luce e l’ombra, netti ma non aspri, lo rendono un “concerto a due strumenti”, di rara finezza psicologica, con quell’aura di mistero tipica della pittura veneta: la quale a prima vista sembra dire tutto, ed invece “allude a un tutto”.

 

Passare poi dalle estive, sgargianti madonne del Tiziano al sinfonismo placido (come in Schumann) della Sacre Conversazioni di Palma, dai toni polifonici del Veronese a quelli malinconici del Bassano, è percorrere visioni d’arte che mostrano come questa pittura resti sempre uguale a sé stessa –luce e colore – ma muti come le stagioni e si rinnovi di continuo. Osservando, infatti, i grandi vedutisti del ‘700 Canaletto e Guardi, si resta colpiti dai nuovi traguardi: uno spirito “vivaldiano” guizzante e fatto di tocchi di pennello allusivi (come gli impressionisti) nel primo, e un colore ordinato e costante (come in David ed Ingres) nel secondo…

 

Luce e colore si “combinano” con esiti diversi. Il risultato è una nuova armonia, non ripiegata sul passato, ma aperta al futuro. Monet non è lontano.

 

I grandi veneti. Capolavori dall’Accademia Carrara di Bergamo. Roma, Chiostro del Bramante. Fino al 30/1 (catalogo Silvana editoriale)

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