La mobilitazione silenziosa dei lavoratori

Lo stabilimento della Guala rischia la chiusura e i lavoratori chiedono di essere tutelati. Per monsignor Bregantini, presidente per la Cei della commissione lavoro, giustizia e pace, «La comunità ed il territorio devono interagire cercando soluzioni comuni»
Giancarlo Bregantini

Non solo l’Alcoa in Sardegna, l’Ilva a Taranto e Termini Imerese in Sicilia. Tra le imprese italiane – spesso eccellenze nel proprio campo –, che rischiano di chiudere i propri stabilimenti al Centro Sud c’è anche la Guala Closures di Termoli. Un’azienda italiana nata nel 1954, leader mondiale nel settore dei tappi, con 24 stabilimenti produttivi in 4 continenti e una rete commerciale in oltre 100 Paesi, da anni radicata nel territorio molisano.

Preoccupazione crescente tra i dipendenti del termolese – in cassa integrazione fino al 2013, per i quali è sempre più probabile rischio licenziamento –, da quando nei mesi scorsi la Guala Closures Group ha acquisito uno dei maggiori produttori di tappi del Sudafrica, zona dove il mercato è segnalato come in forte espansione.

Queste le ragioni che hanno spinto una delegazione di 25 lavoratori dello stabilimento di Termoli a chiedere un incontro – avvenuto nella sede della Curia il 17 ottobre –, a mons. GianCarlo Bregantini, Arcivescovo di Campobasso-Bojano e Presidente per la Cei della commissione lavoro, giustizia e pace. La richiesta principale è stata quella di un sostegno morale e concreto in questo momento così difficile per i lavoratori. «Bisogna riabilitarsi ad un realismo fatto di fiducia e di concretezza attraverso il passaggio spirituale e morale che tenga conto della persona – ha affermato monsignor Bregantini durante l’incontro –. A noi Chiesa, il compito di vigilare su certi stratagemmi, come il compromesso che può diventare stile collettivo positivo, purché prevalga il bene del collettivo sul singolo».

Ma Termoli non è solo il caso della Guala Closures. A vivere un momento altrettanto delicato ci sono anche i dipendenti del vicino stabilimento della Fiat Powertrain Technologies che in poco più di un mese ha dichiarato tre settimane di cassa integrazione. Il pericolo, dunque, di una vera e propria fuga delle grandi aziende dall’area industriale termolese – con sempre meno incentivi statali da destinare al territorio –, sembra il vero spauracchio da scongiurare, affinché non si ripeta quanto già vissuto più di dieci anni fa con il “caso Campari” che aveva chiuso i battenti a Termoli per riaprire a Novi Ligure. «Questa ennesima realtà locale ma anche mondiale di “crisi”, dove regna la speculazione antropologica, non di fatto la centralità della  persona ed il suo sviluppo – ha detto Bregantini –,  sia propositiva e decisiva sul problema prioritario dell’economia e del lavoro, lottando contro visioni utilitaristiche e corruzione».

Al tavolo di dialogo tra le parti un contributo importante potrà venire dai vari ambiti sociali. Ne è convinto Bregantini, secondo cui «quando un  distretto è  in allarme per la chiusura di un’azienda, la comunità ed il territorio devono interagire cercando soluzioni comuni» che non dimentichino di «incoraggiare i precari, i disoccupati  e gli inoccupati come nel caso di questa multinazionale».

E proprio in questa direzione sembra andare la scelta di una “terza via” proposta dalla delegazione ed accolta dal presidente della Cei per il lavoro durante l’udienza, per cui va promosso in ambito internazionale un “Concilio Mondiale del Lavoro” e, in tempi brevi, l’elezione di uno degli operai della Guala a membro del consiglio di amministrazione.

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