La memoria in cammino: 16 ottobre 1943

Una commovente processione si è svolta il 16 ottobre per le vie della capitale, in memoria della deportazione degli ebrei romani. Il cammino ha ricalcato il percorso, al contrario, svolto dagli ebrei quel triste giorno di sett'anni fa
Enzo Camerino

Bisogna guardare in giù, abbassare la testa. Le pietre d’inciampo ostacolano il cammino, obbligano a fermarsi, a soffermarsi un attimo, a rispettare la sacralità di quelle vie. La processione, organizzata la sera del 16 ottobre dalla Comunità ebraica di Roma e dalla Comunità di Sant'Egidio, ricorda la deportazione degli ebrei romani. Ripercorre, a ritroso, lo stesso percorso che hanno fatto quelle povere famiglie la cui vita è finita quel 16 ottobre di settant’anni fa. Il cammino è lento, silenzioso. Parte da Santa Maria in Trastevere, la piazza del raduno, e arriva a Largo 16 ottobre, nel cuore del quartiere ebraico. Le strade accolgono, mute, la memoria del triste evento. «Queste case hanno visto, sono testimoni di quello che accadde» dice Laura Boldrini evidentemente commossa. In quelle stesse case si specchia la luce delle fiaccole che accompagnano il cammino e che illuminano oscuri cartelli innalzati sopra le teste con i nomi, inquietanti, dei campi di concentramento e di sterminio. Quel giorno furono deportati milleventitré ebrei ad Auschwitz, furono rastrellati. «Rastrellati» ripete Boldrini con una smorfia di orrore.

Il corteo silenzioso si riunisce in Largo 16 ottobre. Nel muro scorrono i volti delle persone che hanno visto la loro Roma per l’ultima volta alla stazione Tiburtina, prima di essere caricati nei treni. Direzione Auschwitz. Sono tornati in sedici, una sola donna, neanche un bambino. Enzo Camerino (nella foto) è tra i sopravvissuti, si porta dietro l’orrore visto, vissuto nella propria carne. «Ricordo come se fosse ieri quel giorno piovoso in cui i nazisti ci vennero a prendere» dice. E rivolto ai giovani: «Voi dovete costruire un mondo diverso in cui nessuno soffre come noi, un mondo accogliente per tutti».

Mantenere la memoria. Questo è l’imperativo della giornata. «Ma non siamo qui per ricordare e piangere, siamo qui per parlare degli ebrei vivi. Gli ebrei non sono il popolo della Shoah, sono il popolo che ha dato i valori all’etica delle religioni monoteiste e per questo vogliamo essere ricordati» tuona con orgoglio Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma.

Memoria è sofferenza, ma anche un’attenzione più consapevole del presente. E il pensiero corre subito ai drammi di questi giorni. Il sindaco Ignazio Marino ricorda che Roma ha ospitato «i superstiti della penultima tragedia del nostro mare Mediterraneo». Boldrini è ancora scossa dalla sua visita a Lampedusa. «Noi dobbiamo pagare i biglietti agli immigrati che vengono dalla Sicilia» – incita ancora Pacifici– «quei viaggi non li devono pagare le istituzioni». Si parla di Lampedusa, ma anche del caso Priebke. Il rabbino capo Riccardo Di Segni ne parla con tristezza: «Ancora esistono nostalgici del nazismo». Non sorride. Ma il suo cuore prova un’emozione forte alla vista della platea numerosa ai piedi del palco. «Una grande sorpresa è stata vedere che non c’è solo la nostalgia del male ma anche la nostalgia del bene, della convivenza e dell’accoglienza». Sì, accoglienza, convivenza, quelle che faranno di Roma «una città in cui nessuno dovrà mai più sentirsi straniero o isolato» –dice Marino. «E sono tanti i romani da poco tempo, immigrati e immigrate presenti qui, che condividono con noi questa memoria». E conclude citando Camerino: «se anche in passato ci fosse stata questa sensibilità non sarebbe accaduto ciò che è successo».

Ormai la serata giunge al termine. Sono stati giorni di sofferenza, di ricordi oscuri e di commozione. Il clima si distende man mano che le persone tornano alle loro case. Ma qualcuno esita, prova a chiudere gli occhi, ascolta. Ascolta ancora quelle due parole che rimbombano come una eco nelle case di Largo 16 ottobre: Mai più.

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