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La lunga notte del Brasile

di Alberto Barlocci

- Fonte: Città Nuova

La commissione di inchiesta del senato brasiliano sta raccogliendo testimonianze e documenti in merito a come il governo del presidente Bolsonaro ha affrontato la pandemia. Spetta al Parlamento mettere o no il presidente di fronte alle proprie responsabilità politiche.

(AP Photo/Bruna Prado)

A meno che il parlamento brasiliano decida di destituire il presidente Jair Bolsonaro, parlare di cattive notizie provenienti dalla commissione del Senato che sta investigando sulla sua (non) gestione della pandemia è relativo. Se tale decisione non prenderà forma, Bolsonaro avrà modo di eludere le sue responsabilità politiche e, semmai, bisognerà vedere se la giustizia potrà verificare eventuali responsabilità penali.

Sono fatti di inusitata gravità che, al confronto, rendono ridicola e assurda la destituzione del 2016 dell’allora presidente Dilma Rousseff per aver trasferito da un anno a un altro alcune partite di bilancio.

Sebbene debba sempre intervenire la presunzione di innocenza, un Paese intero è testimone delle pubbliche prese di posizione del presidente per negare gli effetti della pandemia, mettendo in discussione l’uso delle mascherine e bloccando le misure volte ad obbligarne l’uso nei luoghi pubblici, la sua minimizzazione dei decessi – che oggi superano le 460 mila unità e di questo passo ad agosto potranno essere più di 700 mila –, ostacolando ed impedendo che il Brasile avviasse una campagna di vaccinazioni, che ancora a gennaio non considerava un tema di rilievo. C’è anche la sua permanente pubblicità alla clorochina, nonostante la scienza non ne abbia confermato l’efficacia contro il virus. Due testimoni hanno ammesso in commissione di aver visto una bozza di decreto presidenziale per modificare il foglietto di avvertenza del medicinale, in modo da includere il suo uso contro il Covid-19.

Nonostante tutto indicasse l’urgente necessità di fermare le attività e di promuovere il distanziamento sociale, il presidente ha lanciato una campagna sulle reti sociali, con lo slogan: “Il Brasile non può fermarsi”. C’è voluto un giudice federale per bloccarla. Messo alle strette dalla commissione d’inchiesta, l’ex segretario per le Comunicazioni del governo ha dichiarato di non avere idea di chi fosse responsabile della campagna. Una risposta di tutto comodo.

Il presidente del Brasile Jair Bolsonaro con la mascherina appesa all’orecchio (AP Photo/Eraldo Peres)

Meno comode le risposte dell’ex ministro della sanità, Eduardo Pazuello, il militare che aveva assunto l’incarico senza avere nessuna competenza in materia: ha affermato di esserci «per eseguire ordini, non per discuterli». Tutto un programma.

In commissione, il rappresentante della Pfizer ha dichiarato che durante lo scorso anno in cinque occasioni l’azienda ha offerto l’acquisto di 70 milioni di dosi del vaccino, senza ottenere risposta alcuna. Pazuello ha negato l’esistenza di tali offerte. In merito alle ragioni per le quali il Brasile ha poi preso parte al sistema internazionale di distribuzione del vaccino Covax, chiedendo una quantità minima di dosi, per il 10% della popolazione da vaccinare quando avrebbe potuto chiedere il 50%, il ministro ha risposto frettolosamente che il sistema ha comunque avuto dei ritardi, che i vaccini erano costosi… E basta. Gli ha fatto eco l’ex titolare degli esteri, Ernesto Araujo, preoccupato più di combattere il comunismo che la pandemia. Insieme a Bolsonaro hanno sempre rifiutato per questioni ideologiche di ricorrere a vaccini cinesi. Araujo ha portato avanti ripetuti attacchi contro il Paese asiatico, confermando la tesi del presidente: «Non compreremo il vaccino cinese». Sta di fatto che oggi l’84% dei vaccini somministrati in Brasile sono cinesi. Una strategia quanto meno incoerente.

Ma allora a cosa puntava la politica del presidente? È sempre più evidente che mediante notizie false, ostacoli, negligenza e freni burocratici il governo ha cercato di ottenere l’immunità di gregge, sorvolando però sulle conseguenze per la popolazione. Per ottenerla, su una percentuale di popolazione infettata stimata al 70% e con un tasso di letalità dell’1%, ciò avrebbe significato circa un milione e mezzo di decessi. Una strategia scellerata e senza punti di appoggio scientifici. Lo segnala il New York Times quando rileva che a Manaus, dove il contagio ha raggiunto il 76% della popolazione, «il risultato non è stato l’immunità collettiva, ma una nuova variante» del virus.

Un mix dunque di ignoranza, negligenza e malafede il cui alto prezzo lo sta pagando la popolazione. Per molto meno la comunità internazionale ha condannato figure come il serbo Milosevic o il sudanese Al Bashir. Forse è giunta l’ora di mettere Bolsonaro di fronte alle sue responsabilità.

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