La libertà, il silenzio e il rispetto

Erika De Nardo ha finito di scontare la pena che le era stata inflitta. Al di là delle polemiche e del clamore mediatico, una ragazza chiamata a ricorstruirsi un futuro
erika de nardo

A guardarla, nelle foto che la ritraggono mentre cammina negli spazi della comunità di recupero di don Antonio Mazzi nel bresciano, sembra una ragazza come tutte le altre. Coda di cavallo, look casual, un sorriso sereno. Eppure Erika De Nardo, 27 anni, non è una ragazza qualunque. È tornata in libertà da qualche giorno dopo undici anni vissuti in carcere per aver ucciso la mamma e il fratellino di undici anni insieme al suo ex fidanzatino, Omar Favaro.

 

Era il 21 febbraio del 2001 quando si consumò quello che fu ribattezzato dai media “il delitto di Novi Ligure”: un duplice omicidio che sconvolse l’Italia per l’efferatezza e quelle quasi cento coltellate che furono sferrate dai due adolescenti. Alla base dell’omicidio della mamma di Erika, preoccupata per gli insuccessi scolastici della figlia, per le sue amicizie pericolose e per il consumo di stupefacenti, non c’era un vero movente. Il fratellino, invece, aveva l’unica colpa di aver assistito all’assassinio della madre.

 

Già quando ad uscire di prigione fu Omar, in Italia si gridò allo scandalo. Ora che a tornare in libertà è Erika, polemiche e contestazioni si sprecano. Eppure la legge è stata rispettata. Erika ha scontato la pena che le era stata inflitta (inizialmente 16 anni, poi ridotti per effetto dell’indulto e per buona condotta), e accanto a lei c’è sempre stato il papà. Nonostante tutto. E con una forza, una tenacia e un amore che pochi, probabilmente, avrebbero avuto al suo posto. Se non lo ha fatto lui, di sicuro non spetta alla gente giudicare Erika.

Cosa riserverà il futuro a questa ragazza con un passato tremendo, una laurea in filosofia ottenuta col massimo dei voti e una passione per i cavalli? Lei chiede silenzio e rispetto per quel che resta della sua famiglia.

 

Dal sito della fondazione Exodus, don Mazzi le scrive una lettera di speranza. «I ragazzi dicono che quando sono arrabbiato, abbaio. È vero! Urlo – scrive l’anziano sacerdote, fondatore della comunità di recupero in cui vive Erika – perché li voglio e ti voglio vera, viva, nuova, decisa. Nessuno è irrecuperabile, come nessuno è santo per decreto divino. La bestia è sempre in agguato dentro ciascuno di noi. Il domatore talvolta viene travolto, altre volte è immolato, spesso inascoltato. Vorrei che tu capissi quanto è importante rileggere il tuo passato, non per pescare nel torbido ma per rigenerarlo e tradurlo, in novità di vita. Il dolore, l’ostracismo, la straordinaria dignità di tuo padre, ti siano di stimolo. Sai bene che ti vorrei mandare, per alcuni anni, all’estero in una mia struttura, per trasformare una tragedia così sconvolgente in un’avventura impegnativa e testimoniale».

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