La guerra sfida la fede

Un profeta (Isaia) e un poeta (Trilussa) leggono i conflitti e i dolori non come inerzia, passività, attesa di salvatori ma come impegno personale ad essere e a costruire percorsi di riconciliazione e di speranza
Iraq

Sto leggendo una bellissima poesia:

“Tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,

la sbarra sulle sue spalle

e il bastone del suo aguzzino […]

Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando

e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati,

dati in pasto al fuoco.

Perché un bambino è nato per noi,

ci è stato dato un figlio.

Sulle sue spalle è il potere

e il suo nome sarà:

Consigliere mirabile, Dio potente,

Padre per sempre, Principe della pace.         

Grande sarà il suo potere

e la pace non avrà fine

sul trono di Davide e sul suo regno. […]

Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti

Veramente bellissima! L’autore? Isaia (cap.9), dell’ottavo secolo avanti Cristo. Tante sono le poesie della letteratura mondiale, in gran parte sogni. Come questo di Isaia. Pare.

Leggete i giornali di questi giorni: Israele contro Hamas, Siria massacrata, Iraq invaso dall’Isis. Lo scenario non corrisponde alla poesia di Isaia. Che in buona parte è al futuro. Quindi dobbiamo aspettare. Isaia non era un politico, ma un profeta. Ragionava per fede. Vedeva cose non presenti. Il presente lo smentisce.

Veniamo a noi. Cosa ne dite? Vi chiedo un favore. Non tiratemi in ballo discorsi “religiosi”, tipo: Dio è onnipotente e vince il male, alla fine Lui giudicherà il bene e il male. O come quando Pietro ha detto a Gesù, che aveva predetto la propria passione: “Questo non ti accadrà mai” (e si è preso del “Satana”). O quando i sacerdoti e gli scribi  sfidavano Gesù in croce: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso! E’ il re d’Israele, scenda ora dalla croce e crederemo in lui”.

Gesù è rimasto senza risposta, anzi, ha gridato una domanda terribile: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Non vi pare che la tremenda attualità che stiamo vivendo sia una sfida alla nostra fede?

Aveva ragione Trilussa:

“Quella vecchietta cieca, che incontrai 
la notte che me spersi in mezzo ar bosco, 
me disse: – Se la strada nun la sai, 
te ciaccompagno io, ché la conosco. 
Se ciai la forza de venimme appresso, 
de tanto in tanto te darò 'na voce, 
fino là in fonno, dove c'è un cipresso, 
fino là in cima, dove c'è la Croce… 
Io risposi: – Sarà … ma trovo strano 
che me possa guidà chi nun ce vede … –
La cieca allora me pijò la mano 
e sospirò: – Cammina! – Era fa Fede”. 

Non una fede che vuole “vedere”, ma che accetta il buio, la contraddizione, la smentita, la delusione, l’irrazionalità, ma che fa camminare, come dice Trilussa. Il contrario quindi della passività, dell’inerzia, dell’indifferenza, dello scaricare sugli altri….

Capitemi bene, non datemi dell’eretico (in fondo non ci piangerei) né del qualunquista (qui ci piangerei, invece). A voi.

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