La gratitudine e la condivisione

Il senso di gratitudine è un sentimento che quando è genuino ha la capacità di nutrire tutti gli attori coinvolti: chi lo prova, chi lo riceve e perfino chi lo osserva, lasciando a ciascuno un senso di pienezza  

Per provare gratitudine occorre avvertire che nella propria vita qualcosa di positivo è accaduto e che esso è collegabile a qualcun’altro. In questo riconoscimento dell’alterità dell’altro trova spazio la gioia per ciò che si è ricevuto.

Si può essere grati in silenzio? Sì, esiste una sostanziale differenza tra gratitudine provata e gratitudine dichiarata. Troppo spesso si trascurano gli effetti che l’espressione della propria gratitudine potrebbero avere. Una componente fondamentale della gratitudine è il suo ruolo di potenziatore sociale. Sembra infatti che le persone che ringraziano abbiano una rete sociale più ampia.

In alcuni casi può accadere che nella persona siano attivi dei blocchi che ne ostacolano l’espressione.

Può essere ad esempio il caso di una persona che è stata per lungo tempo delusa, ha sperimentato a lungo un senso di ingiustizia ed ha imparato che per ogni cosa che vuole ottenere deve “lottare” e che nulla è “donato” nella sua vita. Con un tale stato d’animo è molto difficile per la persona tracciare i fili logici di ciò che vive. L’atteggiamento è prevenuto e si frappone come una barriera tra ciò che si è realizzato e ciò che ne ha permesso la realizzazione.

Il senso di gratitudine è ostacolato quando la persona prova un senso di orgoglio troppo forte. Ringraziare assumerebbe il significato di ammettere che non si è ottenuto qualcosa per i propri meriti e capacità ma per via di qualcun altro. In questa logica essere grato equivale a togliere dei meriti a sé stessi, quasi un impoverimento di sé.

Risulta faticoso ringraziare anche quando non si accetta la possibilità di ricambiare il favore e non si è aperti alla relazionalità.

Infine è difficile ringraziare quando mancano i confini relazionali tra sé e l’altro e si dà per scontato che l’altro debba sempre fare qualcosa per noi.

Cosa accade in colui che ha favorito consapevolmente o inconsapevolmente la situazione?

Ogni gesto o espressione di gratitudine è per l’altro un’unità di riconoscimento. Egli può sperimentare una gioia pari a chi ha beneficiato della circostanza o in ogni caso esserne felice. Talvolta accade che questa gioia venga meno.

Possiamo pensare a situazioni più estreme di persone che hanno sofferto e non hanno ancora superato il dolore passato, soprattutto quando al dolore si associa la rabbia o la non accettazione di situazioni personali. O più semplicemente a fasi della vita in cui il bisogno di essere riconosciuti è molto forte. In ogni caso l’espressione di gratitudine è un segno di educazione e maturità, della quale se ne può fare un principio di vita. Di fatti per alcuni è molto doloroso constatare di non aver ricevuto neppure un grazie.

Come migliorarsi?

Imparare ad essere grati si può! Non è solo questione di ringraziare, cosa già sufficiente. Dire “grazie” è l’espressione finale di un processo che si compone: del riconoscimento dei confini relazionali tra sé e l’altro e di una perdita della fantasia che l’altro esiste per soddisfare i nostri bisogni; della capacità di accogliere e lasciarsi stupire invece che controllare per determinare; della capacità di accorgersi che qualcosa di bello è avvenuto e di poter osservare in maniera più ampia come si è arrivati a ciò perdendo a volte un po’ di egocentrismo; della capacità di considerare sé stessi come parte di un sistema complesso in cui non tutto dipende da sé e non si esaurisce in sé stessi; e della capacità di non temere l’altro ma di rinforzarne anche attraverso l’espressione di gratitudine la coesione sociale. Riconoscere un merito all’altro non toglie niente a sé stessi.

 

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