La forza gentile di van Rompuy

Il leader belga riconfermato alla presidenza del Consiglio europeo per altri due anni e mezzo. Sconosciuto al primo mandato ha saputo forgiare un'istituzione puntando all'accordo e al bene comune
Herman van Rompuy

Quando è stato nominato dai suoi pari – i capi di Stato e di governo dell’Unione europea – presidente del Consiglio europeo nel dicembre 2009, pochi lo conoscevano. È rimasta memorabile l’“accoglienza” del deputato britannico anti-Eu, Nigel Farage, alla prima apparizione di van Rompuy al Parlamento europeo: «Vorremmo vedere un gigante politico, il presidente di 500 milioni di persone. Invece hanno eletto lei, che ha il carisma di un calzino bucato e l’aspetto di un impiegatuccio di banca». Potenza della tanto bistrattata democrazia europea, che accoglie nelle sue istituzioni anche chi l’Europa vorrebbe smantellarla.
 
Eppure la scelta era stata buona, anche se aveva deluso chi si aspettava una primadonna alla Tony Blair: una persona pacata, con un senso sottile dell’umorismo, pragmatico, conciliatore. In fondo aveva convinto i leader europei la sua capacità di tirar fuori il Belgio dal pantano di una crisi permanente e di formare un governo, di cui era stato primo ministro per undici mesi.
 
Per il Washington Post, van Rompuy è «un abile amministratore, capace di sublimare il proprio ego a favore del bene comune, un uomo con l’intelligenza intellettuale ed emozionale necessaria per forgiare accordi in un’istituzione dove le decisioni importanti richiedono l’unanimità». Il fatto di essere il primo presidente del Consiglio europeo a non essere al tempo stesso capo di Stato e di governo (prima di lui e del cambiamento introdotto dal Trattato di Lisbona la presidenza di questa istituzione spettava, a rotazione semestrale, a ogni Stato membro dell’Ue) ha indubbiamente aiutato van Rompuy a tenere la rotta dell’interesse comune, e a mostrarlo quando ce ne fosse bisogno.
 
I passi avanti fatti sotto la sua presidenza, per esempio nel campo della governance economica della zona euro, possono sembrare minimi rispetto alla gravità dei problemi che attraversa l’Europea, in piena crisi del debito sovrano di vari Paesi dell’eurozona, e le divergenze tra i leader europei sulle misure da prendere per affrontare la crisi sono certamente più visibili del suo lavoro dietro le quinte. Quando i capi di Stato e di governo si riuniscono – ormai mensilmente, secondo la geniale intuizione di van Rompuy: per mettersi d’accordo ci vuole tempo, ci vogliono scadenze ravvicinate – non è lui la persona più potente attorno al tavolo. Eppure il suo lavoro tenace, metà da direttore d’orchestra, metà da consigliere matrimoniale –produce risultato.
 
Appena nominato, a gennaio 2010, ha convocato una riunione di crisi sulla Grecia. Prima del summit, vede in privato la Merkel e Sarkozy, in disaccordo su tutto: van Rompuy tira fuori un testo di compromesso, che riceve subito il beneplacito francese e, dopo alcune modifiche, quello tedesco. Con l’accordo dei due pesi massimi in tasca, van Rompuy ottiene facilmente il via libera dei 27 nelle ore che seguono: è il primo passo verso l’assistenza finanziaria alla Grecia e la creazione del fondo salva-Stati.
 
Dice di sé: «Non sono né uno spettatore, né un dittatore, ma un facilitatore». La prima ministra danese HelleThorning-Schmidt – presidente dell’Ue nel primo semestre 2012 – ha twittato, dopo la riconferma di van Rompuy per i prossimi due anni e mezzo: «Herman, sei un uomo modesto, ma quello che non è modesto è il tuo enorme lavoro per l’Europa».
 
A tempo perso, van Rompuy è poeta di haiku (componimento di tre versi e diciassette sillabe). Gli ultimi poemi pubblicati sul suo blog, rigorosamente in neerlandese, parlano di vento che soffia sulle imposte e mare in tempesta sulla spiaggia, e la sicurezza e la pace come approdo nei versi finali. Una bella metafora del travaglio attuale dell’Europa, vero?
 

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