La fine di un’egemonia?

Il viaggio di Hillary Clinton in Brasile è occasione per riflettere sul nuovo corso che stanno prendendo i rapporti tra le due Americhe.
Clinton Lula Amorim

Dietro i sorrisi, le dichiarazioni amichevoli e le strette di mano, con la sua consueta abilità, la diplomazia brasiliana ha ancora una volta opposto un cortese ma deciso rifiuto alle proposte provenienti dalla Casa Bianca. L’occasione è stata la visita ufficiale a Brasilia della segretaria di Stato nordamericana, Hillary Clinton. Washington non vede di buon occhio che il Brasile contraddica la strategia statunitense nei confronti di Teheran. Il governo del presidente Barack Obama ha manifestato la convinzione che dietro il programma nucleare iraniano esistano, in realtà, finalità militari. Un tema che presta il fianco a molti dubbi, spesso più che fondati.


Da parte sua il Brasile sostiene da un lato il diritto di qualsiasi Stato a sviluppare il proprio programma di energia nucleare e, dall’altro, il principio del negoziato diplomatico per evitare la proliferazione di armi atomiche. «Non si negozia esercitando pressioni» ha dichiarato il ministro degli esteri brasiliano Celso Amorim. E a tale scopo Brasilia ha già preso iniziative concrete: prima di tutto la visita che lo scorso anno ha effettuato in Brasile il presidente iraniano Ahmadinejad, che sarà restituita a maggio dal presidente brasiliano Inacio Lula da Silva. In secondo luogo, un’opposizione all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dove, in qualità di membro non permanente, il Brasile si oppone alla maggioranza degli Stati disposti ad applicare sanzioni al Paese asiatico, sostenendo, al contrario, l’idea che la comunità internazionale deve dialogare con Teheran ed ottenere prove sui fini pacifici del programma nucleare iraniano.


La posizione brasiliana riafferma l’applicazione rigorosa del diritto internazionale, come nel caso del colpo di stato in Honduras. Anche in tale occasione Brasilia ha preso le distanze dalla Casa Bianca che pragmaticamente ha accettato la violazione alle regole del gioco democratico nel paese centroamericano, regole ricomposte attraverso le successive elezioni.


Questione dunque di principio. Ma non solo. Al di là delle schermaglie diplomatiche, la partita in gioco mostra il nuovo volto di un Brasile che sta acquistando un sempre maggior peso nella realtà geopolitica latinoamericana, rompendo, di fatto, l’egemonia esercitata durante decenni dalla Casa Bianca.


L’ormai proverbiale e paradossale distrazione di Washington nei confronti dell’America latina, una regione più dominata che compresa, ha condotto la diplomazia statunitense a non comprendere, in questi anni, la capacità di sviluppo del Brasile. E oggi si trova di fronte a una potenza emergente, tra le prime 12 economie del pianeta, dotata di risorse energetiche capaci di proiettarla nel ristretto club dei paesi produttori di petrolio. Inoltre il Brasile è oggi anche un paese leader praticamente riconosciuto come tale da quasi tutta la regione, della quale possiede una chiave di lettura e con la quale è capace di intendersi. Cosa mai accaduta con la Casa Bianca.


Prova eclatante la recente trasformazione del Gruppo di Rio in una nuova entità parallela all’Organizzazione degli Stati Americani, ma senza la presenza di Usa e Canada. Il blocco, denominato Gruppo dell’unità dell’America latina ed i Caraibi, deve ancora dimostrare consistenza e peso politico. Ma è chiaro che è sorto con la precisa intenzione di sottrarsi all’influenza di Washington.


La volontà di protagonismo, di prendere in mano le redini dei propri destini dovrebbe spingere Washington ad abbandonare i goffi tentativi di esercitare ancora un’egemonia che ha fatto il suo tempo. E un vero dialogo sarebbe un reale guadagno per tutti.

da Ciudad Nueva Argentina

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