La festa è stata grande, vasta e impossibile. Troppi prodotti, mille eventi, passerelle di star nostrane e mondiali – specialmente americane, giacché gli Usa non mancano mai – e affermazione ormai consueta dell’Oriente. Il concorso infatti è stato vinto dal taiwanese La ragazza mancina e la miglior regia è toccata al cinese Wang Tong per Notti selvagge, bestie addomesticate (un film mortifero), mentre la miglior sceneggiatura è andata all’iraniano Alireza Khatami per Le cose che uccidi e il miglior attore è risultato Anson Boon in Good Boy (fiaba nera-thriller psicologico). Infine, Premio del pubblico al documentario su Rossellini e Miglior opera prima ad Anemone di Ronan Day-Lewis, in uscita il 6 novembre.
Naturalmente il nostro cinema si è fatto valere e ne abbiamo già parlato, mentre meritevole di un qualche riconoscimento sarebbe Illusione di Francesca Archibugi su un fatto di cronaca nera. Certo, i nostri film e non solo girano intorno ai soliti problemi: famiglia, solitudine, soldi, morte. Speranza poca (per fortuna la mostra il film La preside), luce scarsa. Si sorride talora, ma per poco. Si rivisita il passato. Il film su Anna Magnani, gli eventi sui 50 anni dalla morte di Pasolini – un trauma mai superato del tutto –, si rimpiangono Rossellini, Antonello Falqui, Rino Gaetano, Dacia Maraini, sfilano storie di guerra (Elena del Ghetto, bel film di Stefano Casertano), e ci sta pure un cardinale molto in vista come Zuppi in Chiamami don Matteo, vescovo di strada (!)…
Tra sfilate, personaggi come Lucio Corsi, rivisitazioni di artisti come Velàzquez, Premi alla Carriera come all’iraniano Jafar Panahi e masterclass, anteprima di fiction – da Sandokan a Verdone, eccetera –, la Festa si è destreggiata nonostante il persistente caos cittadino, offrendo Roma come è (o è stata), la città del cinema. Il nostro ancora funziona, e non male, nonostante i tagli governativi. Forse può viaggiare più in alto. Roma è caput mundi, non è vero?