Non sarà facile per la Danimarca reggere la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea (Ue), per gli ultimi sei mesi del 2025, considerando le acque tempestose nelle quali naviga l’Europa, non meno burrascose di quelle del resto del mondo.
Il programma di lavoro della presidenza danese, all’insegna del motto “Un’Europa forte in un mondo che cambia”, si prefigge di affrontare, da un lato, le questioni della difesa e della sicurezza, e dall’altro, le questioni dell’economia e della competitività, all’insegna della sostenibilità.
Del resto, non potrebbe essere altrimenti, nel senso di smarrimento diffuso tra i corridoi dei palazzi di Bruxelles, considerato il conflitto russo-ucraino che infuria nel cuore del continente europeo, abbandonato dall’alleato americano che, anzi, lo aggredisce con una politica spregiudicata sulle tariffe doganali, sulle quali si è appena trovato un accordo sui dazi con gli Stati Uniti che, però, scontenta molti Stati membri e allontana l’Europa da se stessa e dalle sue ambizioni di indipendenza strategica e di influenza geopolitica.
La Danimarca, che per l’ottava volta ricopre la presidenza di turno, dovrà affrontare anche le sfide della competitività economica, l’avvio dei negoziati per il nuovo Quadro finanziario pluriennale dell’Ue, le relazioni dell’Ue con la Cina, la diversificazione degli scambi commerciali in un contesto di crescente frammentazione del commercio globale.
Secondo la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, «grazie al pragmatismo e alla leadership danesi, l’Europa è in buone mani», come, d’altronde, saranno in buone mani le proposte legislative presentate dalla stessa Commissione europea per rafforzare la difesa e la competitività dell’Ue. In particolare, il Fondo di Sicurezza da 150 miliardi di dollari per i prestiti all’industria della difesa SAFE (Security Action for Europe), approvato in tempi insolitamente rapidi durante la presidenza polacca, così come il primo di sette pacchetti Omnibus sulla semplificazione normativa per le aziende europee. Su tutti gli altri dossier la Danimarca dovrà condurre i negoziati tra gli Stati membri e il Parlamento europeo.
In merito alla sicurezza europea, la Danimarca intende porre al centro della sua agenda la riduzione dell’immigrazione irregolare, il rafforzamento delle frontiere esterne, il potenziamento della resilienza e della deterrenza dell’Ue, la difesa dei valori europei e la riduzione dei rischi per l’economia. In particolare, la Presidenza danese si concentrerà sull’attuazione del Patto sulla migrazione e l’asilo, valutando strumenti per eliminare le strutture di incentivazione alla base della migrazione irregolare.
Il governo socialdemocratico danese, del resto, sta coordinando da tempo, assieme al governo italiano, un gruppo informale sul tema dell’immigrazione, proprio mentre assistiamo a un graduale inasprimento della repressione dell’immigrazione irregolare. Indubbiamente, la Presidenza danese sosterrà le ultime proposte della Commissione europea sull’argomento e si adopererà per definire una posizione del Consiglio dell’Ue sul concetto di paesi terzi sicuri e sulla Direttiva sui rimpatri.
È importante ricordare che gli Stati membri della NATO hanno fissato l’obiettivo della spesa militare al 5% del PIL entro il 2035 e che la Danimarca è tra i 20 paesi che hanno finora richiesto l’attivazione della clausola di salvaguardia del Patto di stabilità e crescita per finanziare la difesa. Questa scelta, sottolineata anche da Mette Frederiksen, prima ministra danese, segna plasticamente l’uscita della Danimarca dal cosiddetto gruppo dei paesi frugali (con Austria, Paesi Bassi e Svezia), che manifestano una posizione critica nei confronti di politiche di bilancio europee espansive, quando ha dichiarato che «abbiamo svolto un ruolo di primo piano nel gruppo dei quattro paesi frugali, ma la prossima volta svolgeremo un ruolo di primo piano in un altro gruppo perché le cose sono cambiate, il mondo sta cambiando rapidamente e dobbiamo trovare le risposte giuste a tutte le sfide che ci troviamo ad affrontare».
D’altronde, Carsten Grønbech-Jensen, rappresentante permanente della Danimarca presso l’Ue, ha espresso la necessità di «ottenere maggiori dettagli su come possiamo potenziare il nostro settore della difesa», per il cui potenziamento «non significa che proporremo molti più soldi, ma date le enormi sfide geopolitiche che ci troviamo ad affrontare, significa che non respingeremo del tutto le proposte di finanziamento congiunto», seppur riconoscendo che sia «molto difficile convincere i paesi scettici sugli Eurobond se non si dice loro cosa finanzieranno».
Benché la Commissione europea e il Consiglio dell’Ue possano essere attivi sul tema della difesa, l’Ue non può acquistare equipaggiamenti militari o fare appalti, essendo queste prerogative degli Stati membri, i cui soli governi nazionali possono effettuare acquisti per la difesa. Se poi l’accordo tra Ue e Stati Uniti sui dazi comporti anche l’impegno ad acquistare armamenti dagli Stati Uniti, ciò significa che lo sviluppo di capacità autonome europee ne esce frustrato.
È bene ricordare che il Regno di Danimarca, oltre alla Danimarca metropolitana, comprende due stati costituenti autonomi nell’oceano Atlantico, nessuno dei quali è membro dell’Ue: le Isole Fær Øer e la Groenlandia. Quest’ultima è tra le mire di Donald Trump, che vorrebbe annetterla agli Stati Uniti d’America.
La Groenlandia ha lo status di Paese e Territorio d’Oltremare della Danimarca ed ha stipulato diversi accordi con l’Ue, come quello molto importante sulla pesca, e riceve sostegno nell’ambito dell’attuale quadro finanziario pluriennale, della Banca Europea per gli Investimenti e di altri programmi dell’Ue. Il presidente del Consiglio europeo, António Costa, ha messo in chiaro che «preservare l’integrità territoriale del Regno di Danimarca, la sua sovranità e l’inviolabilità dei suoi confini è essenziale per tutti gli Stati membri» e, pertanto, «l’Unione Europea sostiene pienamente il Regno di Danimarca».
La Presidenza danese si impegna anche a favorire i progressi nell’allargamento dell’Ue, in particolare con l’Ucraina, ma anche con la Moldavia e i Balcani occidentali, sebbene sia improbabile un qualche sviluppo concreto entro il 2025. Ancora, la Danimarca ritiene che la transizione verde possa e debba guidare la crescita economica, mentre le politiche climatiche ed energetiche dovrebbero essere strettamente legate alle politiche per la competitività, ponendo la transizione verde su un piano di parità con la competitività e, per questo, aumentando la quota di energia verde e migliorandone l’accesso.
Cionondimeno, l’Ue rischia di andare in crisi sulla competitività, poiché si è impegnata a spendere 600 miliardi di euro negli Stati Uniti in acquisti e investimenti, dunque disinvestendo in Europa. Se si pensa che si tratta di capitali privati e che l’Ue incoraggerà le proprie aziende ad investire oltreoceano, allora chi metterà quei 620 miliardi di euro all’anno di contributi privati necessari a realizzare i programmi di sostenibilità del Green Deal e quelli di indipendenza energetica di RePowerEU?
Inoltre, parlando di sostenibilità, è bene tenere a mente che la Commissione europea ha già iniziato a restringere le proprie ambizioni di sostenibilità rispetto allo scorso quinquennio, per venire incontro alla nuova maggioranza che la sostiene all’Europarlamento. L’accordo tariffario discusso con l’amministrazione americana prevede che l’Ue acquisti energia dagli Stati Uniti, per un totale di 750 miliardi di dollari in tre anni, nella forma di gas naturale liquefatto (GNL), nucleare (combustibile e mini-reattori nucleari) e petrolio. Nell’accordo non si menziona assolutamente l’approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili, mentre l’Ue si è resa disponibile ad aprire il suo mercato ai pick-up americani, nonché ai veicoli non elettrici, anch’essi di grandi dimensioni, che tipicamente consumano elevate quantità di carburanti tradizionali (benzina e diesel), con conseguenti elevate e persistenti emissioni di CO2 e gas serra.
È sempre difficile prevedere quanto le proposte di una qualsiasi presidenza di turno del Consiglio dell’Ue si realizzeranno alla fine del semestre. Indubbiamente, però, le questioni legate alla difesa saranno sviluppate il più possibile, considerata la delicata fase internazionale, mentre le ambizioni europee sulla competitività e sulla transizione energetica sembrano scricchiolare. Per il resto, come affermato dallo stesso Grønbech-Jensen, «è tutto imprevedibile».