La Costa d’Avorio rischia la guerra civile

Il paese a tre mesi dalla elezioni ha due presidenti e vive un continuo stillicidio di assalti, sparatorie e sparizioni. Più di mezzo milione i profughi. Da Abidjian    
mgabo ouattara
A oltre tre mesi dalle elezioni presidenziali la Costa d’Avorio sembra davvero un paese allo sbando.  Ci si chiede se si stia davvero sprofondando nella guerra civile. Di fatto coesistono due presidenti e due governi. L’uscente Gbagbo è il presidente proclamato dalla Corte costituzionale. L’oppositore di sempre, Ouattara, viene invece dichiarato vincitore dalla Commissione elettorale indipendente. Ma, come sempre, il potere reale resta in mano a chi l’aveva prima e cioè Gbagbo, anche se le misure prese dalla comunità internazionale gli stanno creando non pochi problemi.

 

 

Il paese è davvero diviso tra pro Gbagbo e pro Ouattara e Abidjan é il teatro principale dello scontro. Una città di cinque milioni di abitanti, con dieci comuni indipendenti è davvero divisa: alcuni quartieri sono notoriamente pro-Ouattara e altri pro-Gbagbo. In particolare il comune di Abobo, che conta un milione di residenti, è il bastione dei pro-Ouatarra: civili ed ex-ribelli ne pattugliano le vie e i miliziani del presidente uscente fanno incursioni e sparano sulle marce organizzate, anche dalle donne. I cosiddetti “squadroni della morte” (pro-Gbagbo) invece entrano in azione di notte, con assalti mirati che fanno sparire molti del partito avversari: uno stillicidio. Nessuno si sente più al sicuro. A tratti il traffico ritorna normale, le strade si popolano di macchine perché la gente deve pur vivere, ma spesso le vie principali sono quasi deserte e la città è paralizzata.

Dopo l’assalto alla banca centrale della scorsa settimana, orchestrato da miliziani e mercenari che sembra siano stati ingaggiati da Gbagbo, sono seguite le sanzioni internazionali e tutte le banche hanno chiuso con difficoltà enormi per tutto il settore commercio e per il pagamento dei salari. Il porto è quasi deserto. L’embargo ONU riguarda anche i farmaci, con gravi conseguenze per la popolazione e per i feriti negli scontri, ma purtroppo le armi continuano ugualmente ad arrivare ad entrambi le fazioni. La stampa contraria a Gbagbo è stata censurata, come pure le radio: i mass media sono diventati strumenti di propaganda, in primis la televisione di stato che ha subito il sabotaggio di un ripetitore da parte del gruppo pro-Outtara. Tutte le fonti d’informazione internazionali sono state oscurate.

 

La diplomazia sembra aver ormai giocato tutte le sue carte. Innumerevoli sono state le visite, i tentativi di mediazione, da parte di alcuni Capi di stato africani che si sono recati ad Abidjan per incontrare le due parti. L’ultimo tentativo è stato quello dell’Unione Africana che ha convocato i due “presidenti” ad Addis-abeba, l’11 marzo scorso. Ouattara ha partecipato di persona, mentre Gbagbo ha inviato due rappresentanti, ma tutto si è risolto con nulla di fatto. Le posizioni sembrano inconciliabili e la proposta di dar vita ad un governo di unità nazionale è stata respinta da entrambi. Gbagbo non vuole dividere il potere con nessuno, Ouatara ha concesso la possibilità di includere nell’eventuale sua presidenza qualche ministro dell’ opposizione, scelto da lui personalmente.

 

In questa situazione passare alle armi sembra inevitabile. Un intervento esterno sembra ormai poco probabile perché avrebbe già dovuto agire prima, mentre prende sempre più piede l’idea di uno scontro tutto interno al Paese, anche se gli analisti politici prospettano ancora mesi di stallo. Di fatto ci sono dei segni che indicano la propensione per la seconda strategia: le milizie FAFN (ex-ribelli) hanno iniziato una discesa al sud conquistando alcune città di importanza strategica perché confinanti con la Liberia, da cui si dice provengano gran parte dei mercenari di Gbagbo. Se l’avanzata continuerà e dovesse raggiungere il porto di San Pedro e/o la capitale Yamoussoukro, il peso militare di Ouattara ne uscirebbe molto rafforzato e una tale situazione potrebbe far decidere parte dell’esercito regolare e i gendarmi (ancora neutrali) a schierarsi con Ouattara. Questa eventualità ne decreterebbe la vittoria definitiva.

 

Intanto il paese soffre: per sei giorni il Nord e l’Ovest sono stati senza corrente elettrica, non tanto per un guasto tecnico ma per una chiara mossa politica che vuole mettere in ginocchio quella parte della nazione e intanto la povertà e il malcontento aumentano. Le maggiori Ong internazionali e le agenzie Onu si stanno istallando nel paese con presidi stabili prevedendo un deterioramento della situazione interna. Le ambasciate straniere consigliano grande prudenza. Il bilancio dei morti è di 400 uccisi (la maggior parte dovuta alla guerriglia urbana), mentre i rifugiati sono ormai 500.000. In questo gioco al massacro però non sarà coinvolta solo la Costa d’avorio, ci saranno ripercussioni su tutto il continente. Nel 2011, infatti, sono previste ben undici elezioni presidenziali in Africa e l’esito di quella ivoriana farà scuola nel bene e nel male.

 

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